Ida Dominijanni
Per battere il terrorismo non basta la guerra, ha ripetuto ieri il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, «bisogna conquistare i cuori e le menti». La frase non è nuova; circolava già in alcune corrispondenze dall’Iraq, e segnala egregiamente la contraddizione cieca in cui si è andata a cacciare la politica di potenza americana pretendendo di spacciare per liberazione la sua occupazione dell’Iraq. Un territorio, infatti, si può prendere con le armi; ma per i cuori e le menti ci vuole altro. Che cosa d’altro, la politica occidentale tutta, non solo quella armata di Bush, sembra non saperlo più – salvo sedurre i cuori e le menti con dosi massicce di televendite, soap e veline modello Berlusconi. Ha smesso di saperlo dall’89, ricorda sull’ultimo numero di Via Dogana la storica spagnola Maria Milagros Rivera Garretas: da quando cioè non ha più saputo trovare un linguaggio diverso dall’ideologia socialista per dire il bisogno di senso e di giustizia della gente comune. Del resto, che stiamo ancora vivendo nel cono d’ombra determinato dal crollo del Muro è proprio la guerra antiterrorismo di Bush a dimostrarlo, se è vero che è alla ricostruzione del Nemico perduto dall’America nell’89 che essa principalmente serve. A ripartire dalla frase sui cuori e le menti, sulla stessa Via Dogana, è Maria Luisa Boccia, riprendendo una delle questioni cruciali emerse nel corso e alla fine della guerra in Iraq, quella dell’incommensurabilità fra la politica di potenza, armata o no, e la politica che rifiuta non solo l’uso delle armi ma anche il criterio della potenza. C’era da misurare guadagni e perdite del movimento contro la guerra, e a chi riteneva che esso avesse fatalmente perso non essendo in grado di contrastare la potenza americana con una potenza uguale e contraria si rispose – anzi, alcune risposero – che non si può misurare l’efficacia di un movimento usando il metro che esso contesta in partenza; e che dunque ciò che i no-war avevano seminato non poteva essere giudicato con il criterio dei rapporti di forza. Ma il problema dell’incommensurabilità non si pone solo fra guerrafondai e pacifisti: è sul tappeto da decenni, ad esempio, a proposito della valutazione dell’efficacia della politica delle donne. La quale continua a essere misurata in base al metro del potere, mentre è una politica che volutamente agisce (e comunica con i cuori e con le menti) su un piano diverso da quello del potere.
Via Dogana riprende questa tematica, connettendola a una scommessa di più lungo periodo della rivista che Vita Cosentino sintetizza efficacemente nell’editoriale: «l’idea di giocare la differenza femminile libera come possibilità, dopo la fine del patriarcato e in regime di fratriarcato, di mettere fine agli sforzi per stare alle leggi di dominio e di potere di questo mondo, di mettere fine anche all’optare fra alternative già date, e orientarsi a rendere possibile altro, a sprigionare l’impossibile». Questo «impossibile», questo altro dalle leggi del dominio e del potere, può essere l’amore (Marina Terragni), la corrispondenza fra parola e esperienza (Milagros Rivera), la potenzialità generatrice della madre contro la «distruzione creatrice» del capitale (Alberto Leiss). E comporta l’urgenza, come recita il titolo del numero, di «passare a un altro ordine di rapporti»: dall’ordine basato sulla coppia identità-forza-guerra a quello basato su differenza-relazione-conflitto.
E’ un passaggio che chiama in causa, prioritariamente, i rapporti fra i sessi. Non da oggi infatti la rivista della Libreria di Milano invita ad abbandonare una visione della politica della differenza sessuale come forma di «resistenza-contro» fondata sulla comune identità del «noi donne», per restituirle il senso originario di una politica incentrata sulla modificazione di sé e della relazione con l’altro – un altro a sua volta già modificato dal femminismo -, nella più ampia prospettiva di una rivoluzione anti-identitaria e relazionale della politica di donne e uomini. Lo scritto di Maria Luisa Boccia, che dialoga con un articolo di Pietro Ingrao sulla guerra pubblicato nel numero di maggio della rivista del manifesto, e quello di Luisa Muraro e Lia Cigarini che dialoga con l’ultimo editoriale di Luigi Pintor, esemplificano questa pratica nel confronto su alcune parole – guerra, pace, sinistra, umanità, vita, potenza, amore, impotenza – di un lessico politico sempre più incerto, controverso e, come scriveva Pintor, «retrodatato rispetto alla dinamica delle cose». Su un punto-limite della trasformazione in corso, dove è diventata maschile la difficoltà di trovare «le parole per dirlo» che fu del primo femminismo, ed è femminile la difficoltà di mettere in circolo le parole trovate nel frattempo. Su questo punto-limite della crisi, forse, un’altra relazione tra donne e uomini diventa possibile.