Programma alternativo di Filosofia politica e Filosofia, società, comunicazione
Corso di laurea magistrale in “Filosofia della cultura”
e in “Teoria della comunicazione” aa. 2008 – 2009
STUDENTI E STUDENTESSE
LETTERE E FILOSOFIA ROMA TRE
1. LA CULTURA E’ DIVENIRE. NOI NE SIAMO IL MOTORE.
A ME, A NOI SPETTA LA PRIMA E L’ULTIMA PAROLA.
2. PARTECIPAZIONE E CULTURA CREANO LA CITTADINANZA
CHE VOGLIAMO.
3. LA CONOSCENZA NON CREA OPINIONE MA ESPRESSIONE.
4. FORMATI/E E NON FORMATTATI/E.
IL VALORE SI AUTOGENERA IN UN AGIRE DI QUALITÀ.
5. NON ABBIAMO BISOGNO DI RAPPRESENTANZA,
LA POLITICA CE LA STIAMO FACENDO NOI.
1. LA CULTURA E’ DIVENIRE. NOI NE SIAMO IL MOTORE.
A ME, A NOI SPETTA LA PRIMA E L’ULTIMA PAROLA.
In pochi anni sono innumerevoli gli interventi del Governo sull’Università. Un esecutivo composto per lo più da uomini che hanno superato la soglia dei 70 anni, che hanno vissuto un periodo storico diverso dal nostro, che filtrano le esperienze del presente con la lente opaca di un passato lontano. In questi anni, gli uomini e le donne della rappresentanza hanno varato una serie di provvedimenti per determinare un futuro che non vedranno.
I pessimi risultati di questo lavoro continuativo di riforma sono sotto gli occhi di tutti, dimostrando l’incompetenza del Governo sull’Università.
Per questo, noi studenti ci sentiamo la responsabilità, il diritto, la necessità di rivedere le categorie fondamentali su cui deve nascere una autoriforma universitaria, e ci riconosciamo le competenze e le conoscenze sulla base di una esperienza, fondata sulla partecipazione attiva, di dire la nostra.
Rispetto alla situazione attuale dell’Università, in termini di organizzazione, servizi allo studente, spazi extra-didattici, etc. , è comprensibile, oggi, che allo/a studente/essa non venga riconosciuto un ruolo definito e visibile dalla società e dall’apparato giuridico della Repubblica italiana. Poiché in Italia allo/a studente/essa non è riconosciuto un ruolo attivo all’interno comunità in generale e della comunità universitaria in particolare, è visto anzi come un soggetto che richiede informazioni e conoscenza, senza produrle o contribuirvi. Si impegna per formarsi, e la sua attività nel presente è considerata di utilità individuale, non sociale, se non nella prospettiva di inquadramento lavorativo futuro.
Il mondo del lavoro è evidentemente soggetto a logiche diverse da quelle che devono regolare l’Università.
Quindi allo stato attuale, paradossalmente, lo/a studente/essa non è titolare autorevole della conoscenza prodotta nell’Università.
La conoscenza e la cultura hanno un valore all’interno del sistema sociale di un paese. Il sapere è il motore e la materia prima dello sviluppo sociale, civile, scientifico, di qualsiasi paese, e l’Università è il luogo principale della sua produzione.
All’interno dell’Università la cultura, come conoscenza costruita, ha una peculiarità: il divenire. La cultura non è statica o dogmatica, non può attestarsi su forme compiute e rigide in senso stretto.
La cultura è un divenire perché la ricerca, lo studio sono strumenti di riproduzione e rielaborazione, correzione e sviluppo, che contribuiscono al processo culturale.
La natura in divenire della cultura è alla base del concetto di conoscenza dell’Università.
Gli studenti e i ricercatori, per definizione, sono “portatori sani” del divenire, e sono il motore della cultura che diviene. I dubbi e dibattiti che si possono aprire con i docenti, in modo orizzontale, sono gli strumenti di questo divenire. Dunque l’attività dello studente è già un contributo alla cultura, alla conoscenza e al sapere. Lo studente è titolare della conoscenza e detiene già l’autorità per esprimersi riguardo ad essa.
Lo studente è un soggetto attivo nella società nella misura in cui contribuisce a produrre cultura, conoscenza, sapere, considerati come bene pubblico.
2. PARTECIPAZIONE E CULTURA CREANO LA CITTADINANZA CHE VOGLIAMO.
La sfera del politico si costruisce attraverso il rapporto tra almeno due soggetti e si concretizza nella interazione e quindi nel riconoscimento tra l’io e il tu: per questo l’opinione privata non può definirsi politica e non cresce in senso politico se non con la messa in discussione nel sociale.
Proprio per questo crediamo che la partecipazione si una delle forze che alimentano la politica e una delle sue categorie principali, e questa nostra mobilitazione è un momento in cui è possibile farne esperienza. Il momento di crisi sociale, economica, politica e del sapere, da cui nasce l’Onda, ha permesso che si concretizzasse quella che era soltanto un’idea o materia di discussione, e è fondamentale che questo impegno pratico, una volta acquisito lo si mantenga, e si perpetui nella sua continua applicazione.
Ancora di più si afferma l’esigenza della partecipazione dal momento che ci troviamo in un’organizzazione politica che vuole definirsi democratica, e per far sì che la democrazia si riempia di contenuti, essa deve edificarsi sui fondamenti che la definiscono, uno di questi è il confronto.
Se da un lato la partecipazione si concretizza nell’azione, ossia in un coinvolgimento che implica la sfera decisionale e della scelta politica, dall’altro la partecipazione è l’essere parte di una discussione e di una solidarietà socio-politica.
La nostra condizione sociale di studenti e studentesse ci spinge verso una considerazione sulla politica che pensi il concetto di partecipazione essenzialmente a partire dal sapere.
Il sapere è infatti ciò di cui si sostanzia la formazione individuale, che è lo strumento grazie al quale si pratica la partecipazione all’interno della vita universitaria.
La conoscenza e la formazione, che devono essere prerogativa primaria degli studi universitari, devono anche costituire il fondamento che ci permette di riflettere, criticare e elaborare nuovi contenuti. In altre parole stiamo dicendo che il momento della formazione “culturale” è anche un momento di formazione alla cittadinanza.
E’ formandosi, acquisendo dei contenuti, che si crea consapevolezza e la presa di parola guadagna autorevolezza, e questo costituisce un passo decisivo nella formazione della coscienza dell’io come soggetto politico.
Questa partecipazione a livello capillare permette anche la propagazione delle conoscenze come dell’uso dei servizi, e questa è l’idea di università che vorremmo vivere e che vorremmo lasciare ai nuovi studenti e nuove studentesse.
Quindi per poter fare una autoriforma, o per attuare un’idea di università, è necessario prima di tutto rivedere l’esperienza universitaria nel suo complesso alla luce della coscienza che essa deve essere partecipata, e questo processo ci conduce alla riflessione su quali debbano essere le categorie fondamentali su cui si deve costituire l’università oggi.
La formazione intesa in questo senso permette all’università di essere a pieno titolo un organo del sociale.
Questa nostra esperienza di mobilitazione e partecipazione ha dato vita a una didattica alternativa che ha risposto nella forma e nei contenuti alle esigenze di questo fermento:
– Il confronto e lo scambio tra studenti/sse e tra studenti/sse e docenti è stato orizzontale.
– e gli argomenti di un programma già stabilito sono stati modificati seguendo l’emergenza.
Quello che ne è emerso è stato un seminario aperto che ha prodotto questo documento, che non è una conclusione ma soltanto una base da cui partire e proseguire nel tempo.
Lo stesso cammino che ci ha condotto fin qui crediamo sia solo l’inizio di un lavoro che deve essere costantemente critico nei confronti dello stato delle cose. Se ora deve essere inteso come lotta e revisione del mondo-università, ci poniamo come scopo quello di seguire una seria critica e revisione della società in un senso politico e partecipativo.
Tutta questa riflessione, che ha descritto lo studio come una formazione alla cittadinanza e alla partecipazione sociale, ci spinge a ripensare il diritto allo studio come diritto alla conoscenza, che le istituzioni hanno il dovere politico e morale di garantire.
3. LA CONOSCENZA NON CREA OPINIONE MA ESPRESSIONE.
Gli ultimi provvedimenti del governo sono un attacco al ruolo che l’università ha storicamente svolto all’interno delle società occidentali fin dalla sua nascita: quello di luogo privilegiato nella produzione e controllo del sapere.
Questo attacco non è però volto alla ridefinizione di un’università né tanto meno una riforma. Esso, riducendola a mero istituto professionalizzante, consiste nella fine dell’università stessa.
Dopo il dibattito tenutosi siamo in grado di dire che, sebbene il ruolo dell’università abbia sì bisogno di un’ulteriore messa in discussione che debba tradursi in una seria riforma dell’ordinamento universitario, la direzione presa del governo è, non solo contraddittoria nei confronti di quello che dovrebbe essere l’interesse professionalizzante ( si pensi all’aumento degli investimenti nell’istruzione che hanno portato, almeno nelle classifiche ufficiali, le università cinesi e indiane ad essere tra le prime al mondo), ma anche e più pericolosamente controproducente se si assume un’ottica più ampia e che cerchi di riflettere sulla società tutta.
La questione centrale è quindi quella di pensare all’università come uno dei centri privilegiati alla produzione di cultura e, senza rinunciare all’aspetto della professionalizzazione, essa debba configurarsi anzitutto come un luogo dedito al sapere libero.
All’interno del nostro discorso la professionalizzazione non è un tema che scompare. Esso va ridiscusso e va ridiscusso il suo ruolo all’interno dell’istituzione universitaria. La professionalizzazione è una componente che non va eliminata ma non può essere la componente principale dell’insegnamento universitario, nè tantomeno deve piegare ai propri interessi tutta la politica universitaria.
E’ necessario differenziare nettamente la componete professionalizzante da quella più importante e primaria della formazione che deve essere salvaguardata e valorizzata.
L’università è il luogo in cui il sapere viene prodotto e diffuso in tutta la società di cui l’università e chi la compone, fanno parte. Il ruolo che l’università deve assumere quindi è strettamente legato ad un discorso sulla conoscenza, la sua produzione e la possibilità di diffonderla.
La conoscenza è, a nostro parere, un bene per la società.
Non soltanto come una risorsa da sfruttare nella forma della manovalanza cognitiva, nel peggiore dei casi, o nella forma di lavori meglio retribuiti riservati a personale qualificato per i più fortunati e le più fortunate.
La conoscenza è un bene nella società al di là di un paradigma strettamente economicistico.
La conoscenza è un bene per la società e per ogni suo singolo soggetto perché tramite la conoscenza è possibile produrre una società diversa. Perché la conoscenza, intesa come processo di produzione sociale e collettivo, comporta anche la formazione di più relazioni sociali e più solide che a nostro parere innalzano la qualità della vita. Lo sviluppo di una vita sociale è una delle esigenze di una società. L’università e la produzione di conoscenza, pur senza arrogarsi il diritto di esserne le uniche titolari, consistono nella risposta cosciente di una società a questa esigenza.
La conoscenza permette una riflessione cosciente e lucida sulla società stessa, permette così di comprendere meglio se stessi e il proprio rapporto con la collettività, è quindi funzionale alla creazione di un buon ordine democratico.
La conoscenza è condivisione e per tanto è inseparabile da un discorso di partecipazione. Il nostro movimento è un movimento sì apartitico ma non apolitico. La conoscenza implica necessariamente una dimensione Politica. Il nostro movimento è politico nella conoscenza che produce qui ed ora e nella conoscenza che vuole poter produrre all’interno della società sottoforma di partecipazione all’università e alla collettività tutta.
In questo la conoscenza è già un riappropriarsi del presente e la possibilità di pensare un futuro che vada incontro alle aspettative dei soggetti.
La conoscenza in quanto processo collettivo può essere già in se stessa produzione della società. L’università, in tutte le sue parti, e quindi anche e soprattutto nella componente maggioritaria, quella studentesca, produce cultura e società.
Gli studenti e le studentesse sono in questo soggetti già attivi e partecipi della società e per tanto sono un elemento di essa ed è sbagliato considerarli solo come un investimento fatto in vista di risultati futuri.
Questo può essere interpretato come un procedere che dalla società si muove verso l’università. La società tutta deve essere cosciente del ruolo che in essa svolgono gli studenti, le studentesse e le altre componenti universitarie.
A questo movimento se ne aggiunge però anche un altro. Esso ha origine nell’università e si muove verso la società. L’università è quindi al servizio della società di cui fa parte.
In questo modo si delinea un nuovo rapporto tra università e società. Né una chiusura e una separazione netta spesso anche desiderata dai titolari del sapere, affezionati alle loro care torri d’avorio, ma nemmeno un abbattimento di ogni barriera che rischia di ridurre l’università a mero gregario del resto della società e che nella situazione attuale sembra imporre un radicale appiattimento dell’università che ne determinerebbe la fine.
La conoscenza deve quindi essere un bene comune e per essere tale ne deve essere garantita la fruibilità e l’accesso da parte di ogni cittadino e cittadina.
Il diritto allo studio è quindi una delle questioni centrali. Noi proponiamo che questo diritto, limitato alla sola scuola dell’obbligo e alla conoscenza intesa solo nelle sue forme istituzionali (le scuole), debba essere ampliato ed integrato con un più ampio diritto alla conoscenza.
Il diritto alla conoscenza va di pari passo con il diritto d’espressione, inteso come un perfezionamento del diritto d’opinione.
La possibilità di esprimere la propria cultura, conoscenza o sapere è infatti inseparabile dall’idea di poter produrre la suddetta cultura, conoscenza o sapere che come abbiamo precedente evidenziato sono processi sociali e collettivi.
Il diritto di espressione favorisce la pluralità delle opinioni e il confronto, facilitando il percorso di formazione personale che ogni cittadino/a e in particolare ogni studente o studentessa deve intraprendere.
La formazione, fine primario dell’università, è quindi legata allo sviluppo di una conoscenza e coscienza critiche che, a nostro parere, sono l’elemento fondamentale alla vita di una società. Essa ne permette il cambiamento e lo sviluppo e le impedisce di fossilizzarsi su posizioni dogmatiche nocive alla società stessa.
Solo tramite la conoscenza, la diffusione della cultura e la possibilità di criticarsi e ridefinirsi, una società può mantenersi.
4. FORMATI/E E NON FORMATTATI/E.
IL VALORE SI AUTOGENERA IN UN AGIRE DI QUALITÀ.
… l’università è lo spazio in cui si fa critica dei saperi. In questo modo il sapere tutto è reso pubblico è diventa quindi un bene comune.
Lo Stato deve mettere il soggetto studentesco in condizione di generare il sapere che non deve essere considerato un lavoro “improduttivo”. Lo spazio pubblico non deve essere considerato terra di nessuno. Abbiamo la necessità di mettere in evidenza cosa siano i beni pubblici e come essi vadano garantiti e tutelati dallo Stato. Quest’ultimo gestisce una risorsa come quella del settore pubblico che non è un peso di cui liberarsi, ma deve riaffermare la sua identità in un periodo di selvagge privatizzazioni. Allo stesso tempo vogliamo riqualificare il presente mettendo in discussione il futuro.
Bene comune:
– uso e godimento aperto a tutti
– inalienabile
– indisponibile
– imprescrittibile
Università come bene comune
Il diritto alla conoscenza si ha in uno spazio pubblico che sia di ognuno/a e che quindi non cada nel privato.
L’Università è un luogo di aggregazione all’interno del quale si formano i futuri attori sociali di una comunità. L’importanza di questa funzione deve essere sostenuta da precise scelte organizzative di occasioni di libero scambio di idee come i seminari, i dibattiti o i convegni. In questo contesto di continuo confronto tra gli attori sociali vi è il progredire di una società.
Uno spazio in cui si è messi in condizione di avere una partecipazione diffusa e condivisa: “andare in pubblico senza provare vergogna”. (A.Sen)
Proposte:
“Solamente una velenosa miscela di ideologia aziendale e di stoltezza burocratica può riproporsi di uniformare i tempi della formazione intellettuale indipendentemente dai campi tematici e dalle caratteristiche dei luoghi dove gli atenei operano. Se la parola autonomia ha un senso, sono proprio i percorsi didattici ed i gradi dell’istruzione universitaria che devono ricadere negli ambiti delle responsabilità dirette ed esclusive dei singoli atenei.”
” Riprendere gli spazi e utilizzarli in maniera alternativa a quella canonica (ad esempio utilizzare la facoltà di sera).
” Avviare la costruzione di un cospicuo numero di alloggi per studenti e studentesse con canone d’affitto proporzionale al reddito e comunque minore degli attuali prezzi di mercato. Aspirando un domani a quello spazio comune che favorisca la socializzazione, la creazione e lo scambio di idee.
” Questi spazi sono il luogo in cui si muove la ricerca alla base del sapere, un sapere non unicamente indirizzato al mercato del lavoro, ma come un diritto alla conoscenza in quanto bene comune. (in contrapposizione a quello che sta avvenendo: i tagli agli F.F.O.)
” Un maggiore impegno nell’attuare politiche sociali anziché quelle militari e industriali, in quanto troviamo più doveroso dedicare una particolare attenzione all’istruzione e alla cultura poiché bene in sé, necessario per lo sviluppo reale della cittadinanza.
” Il tempo dell’università è il tempo dell’esperienza e non deve quindi seguire parametri temporali-mercantilistici.
” Trovare altri criteri di valutazione/autovalutazione che si distanzino dalla logica credito/debito, tipica dei sistemi economici di stampo liberale basati sugli “skills”.
È la classe politica che di dimostra di volere l’università come un luogo professionalizzante, dove gi studenti e le studentesse vengono formati/e, anzi formattati/e, affinché entrino in un mondo del lavoro che è essenzialmente precario.
Lo studente/ssa viene indirizzato/a alla logica della professionalizzazione anziché quella della formazione che in realtà ha una propedeuticità intrinseca. È utile ricordare l’origine stessa dell'”università”, che da sempre rappresenta il luogo di concentrazione dei saperi, non si rispecchia nel linguaggio in cui oggi si esprime che è “quello della fabbrica”, di più recente origine.
” L’università deve restare libera da vincoli economici dovute alle fondazioni private, perché essa per eccellenza ha senso compiuto se esercita l’interesse della collettività e non di pochi.
Il sapere non ha confini ed è incondizionato. La sovranità per essere tale ha bisogno di essere delimitata, l’università italiana è vittima di questo paradosso poiché genera all’interno di uno spazio circoscritto un sapere illimitato e sconfinato.
L’ipotesi di un’università che diventa fondazione, (stile azienda), quindi un ateneo privatizzato, contrasta con l’autonomia alla quale auspichiamo.
“La perdita del significato proviene dall’affermazione del liberismo che ha causato la decostruzione dell’idea stessa di bene comune” (Cassano)
5. NON ABBIAMO BISOGNO DI RAPPRESENTANZA,
LA POLITICA CE LA STIAMO FACENDO NOI.
Le prime battute del movimento studentesco autodefinitosi “Onda anomala” hanno visto l’imperversare di una dichiarazione netta e perentoria di “apoliticità”, alla quale i media non hanno mancato di dare spazio e visibilità. L’idea di una massa informe, senza punti di riferimento in ambito partitico, senza credo né ideologia, si è rivelata congeniale rispetto ai desideri di coloro i quali volevano rappresentare il movimento come l’ennesimo episodio dell’antipolitica italiana, inaugurata dalle battaglie capitanate da Beppe Grillo. Tuttavia, la grande voglia di dimostrarsi immuni da ogni strumentalizzazione ha sortito a nostro avviso l’effetto esattamente contrario: i media hanno avuto un facile gioco nel rappresentare il movimento come una grande scatola vuota, riottosa verso ogni etichetta proveniente dall’esterno, priva di contenuti, il cui accesso era vincolato alla sola condizione del rifiuto alla legge 133. In breve, se da un lato questo ha evitato la strumentalizzazione ideologica dei partiti, dall’altro ha dato impulso ad un’altra forma di strumentalizzazione, quella mediatica, che solo ingenuamente può essere definita come non politica. Le ragioni di questa iniziale professione di “apoliticità” sono a nostro avviso le seguenti.
In primo luogo, la sacrosanta esigenza di distanziarsi dalle pratiche partitiche, unita alla pericolosa equazione “politico = dominio dei partiti”, ha spinto il movimento a chiamarsi fuori dalla sfera politica. Al contrario la nostra idea è che accettare l’equazione sopraccitata comporti un riconoscimento sostanziale del sistema politico “dall’alto”, autoreferenziale, autorappresentante, che è l’oggetto polemico del movimento. Questo paradosso è stato superato nelle pratiche di politica dal basso portate avanti nel seguito della mobilitazione.
In secondo luogo, l’apoliticità è stata il corollario di un’altra equazione allo stesso modo fuorviante, che è quella “politico = ideologico”: siamo a-ideologici, quindi siamo a- politici. Ma ancora una volta, si passa con troppa facilità da una legittima rivendicazione ad un’indifferenza di contenuto che è esplosa nella sua drammaticità nell’aggressione di Piazza Navona. Infine, la percezione dell’effettiva novità costituita da un movimento autorganizzato e spontaneamente costruito dal basso ha spinto gli studenti a rigettare ogni analogia con le rivendicazioni politiche che caratterizzavano le mobilitazioni passate ( ’68, Pantera, ect..): da qui, ancora una volta, l’apoliticità. Con il passare del tempo, il movimento ha dunque preso le distanze dalla professione di apoliticità.
Esistono vari spunti per riflettere sul senso e sul valore politico del movimento.
La questione delle condizioni materiali degli studenti, la loro richiesta di riappropriazione del futuro, dimostrano una volontà di porre in questione elementi base della vita di ognuno che la politica istituzionale aveva relegato all’ambito del caso, della fortuna e della disponibilità privata, ma che in realtà potrebbero e dovrebbero trovare spazio in una politica delle persone e dei loro bisogni concreti. Il futuro che dirige, determina ed ordina l’attività dell’università è un futuro instabile e precario, costruito sopra un’idea di società e mercato che proprio oggi si dimostra fallimentare ed inadeguata. Di conseguenza, non crediamo valga la pena rinunciare al presente della formazione e della cultura per ricevere in cambio aspettative perlopiù di basso profilo ed il più delle volte destinate a venire disattese. Da queste brevi riflessioni, emerge chiaramente che un discorso approfondito sull’università è necessariamente anche un discorso sulla società, sul soggetto e limiti d’azione del mercato, e dunque un discorso politico. Il criterio dell’utile a cui è stata sottomessa l’università delle abilità, della professionalizzazione e della rinuncia al discorso pubblico è il riflesso di una società in crisi, incapace di difendere il sapere nella sua natura di bene comune. Il movimento ha di fronte il difficile compito di ridefinire il ruolo dell’università, l’identità dello studente e della studentessa pensando e proponendo nuove forme sociali in cui questo sapere può essere inserito non più soggetto alle logiche del mercato.
Bibliografia
1. L’università in questione…
– G. Marotta, L. Sichirollo, Il resistibile declino dell’università, Guerini 1999
Passi scelti: discorsi e testi sull’università di Spaventa, Croce, Calamandrei, Weil
– R. Simone, L’università dei tre tradimenti, Laterza 2000. Passi scelti: pp. 125-177
– L. Muraro, P.A. Rovatti, Lettere dall’università, Filema 1996. Passi scelti: pp. 5-37
– A. Dal Lago, Alma mater. Quattordici racconti, manifestolibri 2008
2. … nella società della conoscenza
– F. Jameson, La logica culturale del tardo capitalismo, Fazi 2007. Passi scelti: 19-69
– R. Finelli, L. Cillario, Capitalismo e conoscenza. L’astrazione del lavoro nell’era telematica, manifestolibri 1998. Passi scelti: pp. 11-41 e 325-345
– M. Foucault, Il discorso la storia, la verità, Einaudi 2004. Passi scelti: L’ordine del discorso
3. Sulle nozioni di pubblico e di bene comune
– J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza 1984. Passi scelti: pp. 171-278
– J. Derrida, Incondizionalità o sovranità. L’università alle frontiere dell’Europa, Mimesis 2008, pp. 27-45
– S. Rodotà, Il sapere come bene comune, festivalfilosofia, 2008
– AA.VV. Lingua bene comune, Città aperta 2006, pp. 9-19 e 79-87
– A. Ciervo, “Il commercio equo e solidale: un percorso diacronico”, in F. Pernazza (cura), Il commercio equo e solidale. Principi, regole e modelli organizzativi, Esi, Napoli, 2008
4. Spazi pubblici del sapere
– H. Bey, T.A.Z., shake 1995. Passi scelti: pp. 7-66
– C. de Pizan, La città delle dame,Carocci 2004. Passi scelti: Libro primo (I-XLVIII)
– AA.VV. Leggere e scrivere per cambiare il mondo, Tufani 2005. Passi scelti: pp. 15-18 e 147-157
– A. Buttarelli, F. Giardini (cura), Il pensiero dell’esperienza Baldini Castoldi Dalai 2008. Passi scelti: pp. 427-459.
– F. Aubenas, M. Benasayag, Resistere è creare, MC 2004
(i testi saranno messi a disposizione alla copisteria di fronte alla Facoltà di Lettere e Filosofia).