“Lei ascolta, lui interrompe, lei racconta di sé, lui se può lo evita”
Un sondaggio dell´università di Trieste su come comunicano fra loro i giovani
Il professor Franco Grossi: “I maschi preferiscono un dialogo a emotività zero”
Maria Stella Conte
Lei ascolta. Intanto scannerizza il suo interlocutore. Lo studia. Lo osserva. E cerca un modo per braccarlo, per stabilire un rapporto diretto, una relazione personale. Lui anche, ascolta. Ma il 60% delle volte disquisisce di politica, cultura, sport, attualità, sgusciando via da qualsiasi tentativo di approfondire il contatto sul piano umano: la ricerca di eventuali affinità elettive non lo interessa, semmai se ne sente infastidito quando non ne è terrorizzato.
“L´uomo tende a una comunicazione più centrata sui contenuti ma superficiale, a differenza della donna che punta sulla conoscenza di chi le è di fronte e su un sentimento di condivisione”. Il professor Franco Grossi, docente di “Tecnologie per l´informazione e la comunicazione” e di “Ergonomia&comunicazione” all´università di Trieste, ha dedicato all´argomento, con l´ausilio dei suoi studenti, una ricerca. Partendo dall´ormai acclarato presupposto che “le differenze tra uomini e donne non sono solo di genere sessuale e non sono neanche un luogo comune: gli studi nell´ambito delle neuroscienze evidenziato, infatti, che le strutture cerebrali degli uomini e delle donne sono diverse e ciò influisce direttamente anche sul differente modo di comunicare”. I risultati dello studio (300 gli universitari tra i 21 e i 30 anni interpellati) mettono a fuoco queste asimmetrie del comportamento verbale e sottolineano come influiscano anche sui luoghi di lavoro dove, ad esempio, collaboratori e colleghi possono sentirsi più valorizzati, motivati e coinvolti da un modo di comunicare che non si limiti ad uno schematico scambio di informazioni: la capacità femminile di tessere relazioni formando gruppi affiatati, potrebbe rivelarsi, insomma, una preziosa risorsa “per una società nella quale – sostiene Grossi – il modello gerarchico è destinato a scomparire”.
Le donne ascoltano più a lungo (39% contro il 36 dei maschi) e sono convinte che la comunicazione possa trasmettere valori etici e morali (72,8% contro il 67,4); gli uomini interrompono più spesso (28,6% contro il 26 delle donne), parlano pochissimo di questioni personali (18,6% contro il 41,2) però dichiarano in maggior numero di usare consapevolmente il linguaggio del corpo: il 75,6% contro il 72,3 delle femmine. Ciononostante, alla domanda: “Chi si serve maggiormente di comportamenti al limite della moralità per scopi personali?”, il 53% delle donne risponde “entrambi”, mentre il 47% degli uomini indica “la donna”. Secondo Grossi questo rivela quanto i mass media trasmettano al genere maschile un´immagine femminile (pronta a tutto pur di raggiungere lo scopo) magari poco reale, ma dalle radici ben piantate nell´incoscio collettivo.
Benché questi differenti comportamenti abbiano un´origine organica, commenta Grossi, non significa che le cose resteranno eternamente così: la consapevolezza che esistono due differenti registri di comunicazione è già di per sé un cambiamento. “Le donne stanno apprendendo infatti alcune forme di comunicazione prettamente maschili mentre gli uomini stentano a fare il salto e perseverano nell´usare una scala di valori gerarchica che li vuole in una posizione di supremazia”. Dunque, comunicazione a emotività zero. Che non si può certo dire che storicamente non abbia funzionato, né per quanto ancora funzionerà. Ma forse non è azzardato, pronosticare: molto.