Giacomo Mambriani
Care Laure (visto che siete due), Sara ed Elisabetta, la questione che sollevate è interessante e parecchio complicata. Capisco ciò di cui parlate, e allo stesso tempo mi sento vicino a quello che scrive Stefano Sarfati nella lettera pubblicata sull’ultimo numero di Via Dogana.
Io sono profondamente grato alle donne, che mi hanno cambiato, oltre che dato, la vita. Grazie a loro, infatti (grazie anche a voi, mi viene da dire, sperando che non sembri un tentativo di ingraziarmi il pubblico…), è cominciato per me un percorso di trasformazione allo stesso tempo gioioso e difficile, e di vitale importanza: nientemeno che un avvicinamento alla realtà.
Anche io forse sono “femminista” nel senso che usate nel vostro articolo. Anzi, solo qualche giorno prima di leggere quell’articolo, parlando con una ragazza mi sono io stesso definito “femminista”, per poi accorgermi, poche ore dopo, che l’essermi presentato in quel modo mi irritava. Anche io comunque conosco quel “desiderio della coincidenza” che voi vedete giustamente come un limite nella relazione con noi. Inoltre ho spesso provato un forte senso di fastidio verso molti aspetti della mascolinità corrente, il che mi ha tolto, per un certo periodo, il desiderio di confrontarmi con altri uomini.
Ovviamente, questa dose di “femminismo maschile” non deve necessariamente valere per tutti gli uomini toccati dal pensiero della differenza o dal femminismo in generale, ma penso che molti di essi sappiano abbastanza bene di che cosa si tratta. Ora, se ciò è vero, e poniamo che sia vero per la maggior parte di noi, è anche vero che questa è solo una porzione, o una componente, o una fase della nostra esperienza. Dico questo poiché sono convinto che se un uomo si apre davvero alla relazione con le donne e alla modificazione di sé, lo fa soprattutto perché, in un lampo di intuizione che magari arriva dopo anni di sotterraneo malessere, si rende conto di starsi negando da solo una grandissima fetta di esperienza (scoperta dolorosa ed entusiasmante insieme). Non lo fa, cioè, per farsi accettare dalle figure femminili che lo circondano, né per trovare un porto tranquillo o una nuova identità che lo rassicuri, perché allora sarebbe rimasto dov’era, senza doversi esporre pericolosamente e pubblicamente. È vero che a volte ci si lascia prendere dalla tentazione di fermarsi e di aggrapparsi a ciò che si è raggiunto, ma questo succede in ogni vita, e anche le pause fanno parte del percorso. E questo tipo di percorso (come sanno molte donne, trasformate dalla partecipazione al movimento femminista) coinvolge tutto il vissuto di una persona e inevitabilmente influenza tutte le relazioni. Non può essere, cioè, una trasformazione settoriale; si dà integralmente, o non si dà (è come una specie di conversione).
Certo, spendere con altri uomini ciò che abbiamo guadagnato con le donne spesso ci risulta difficile, tanto che a volte viviamo in una specie di schizofrenia o di doppio binario, che produce frustrazione e insoddisfazione. Io credo però che sia soltanto questione di tempo, e che poi, gradualmente, la differente qualità della persona arrivi a farsi sentire anche nei rapporti più standardizzati o cristallizzati. Così almeno è stato ed è nella mia esperienza, sempre meno “divisa”, per fortuna. Ho inoltre notato questo: in un gruppo qualsiasi (non troppo numeroso) di uomini, se si rischia un po’ di più, se si lascia trapelare un po’ più generosamente e coraggiosamente la propria differenza, capita di trovare delle aperture e delle curiosità imprevedibili da parte dei propri simili-differenti. E da quelle che sembravano porte a chiusura stagna arrivano soffi di deliziosa aria fresca. Ero io che prima non ero in grado di sentire questi soffi? È il mio espormi di più che porta alcuni a farlo a loro volta? Probabilmente entrambe le cose. In ogni caso è molto importante, per un uomo, trovare forme nuove di relazione con altri uomini, e mi sembra che ciò possa arricchire e variare anche il rapporto con le donne; in questo sono perfettamente d’accordo con voi.
Per quanto riguarda invece il “recuperare parte della [nostra] storia per farla incontrare col [vostro] sapere” affinché le relazioni con noi uomini possano per voi “ricominciare a diventare utili e interessanti politicamente”, ho un dubbio, che cercherò di spiegare. Io non mi fido della mia storia di maschio, anzi, non so neanche bene che cosa sia, visto che spesso faccio fatica a capire dove finisce il condizionamento “esterno” (culturale, sociale, politico, psicologico, ecc…) e dove inizia il mio autentico sentire. Non mi fido di quello che ho imparato per anni nei vari ordini di scuole (con la felice eccezione della scuola elementare sperimentale che ho frequentato negli anni ’70) e ancor meno di quello che ho assorbito inconsapevolmente dai comportamenti degli adulti e dei coetanei che mi circondavano, spesso servito sotto forma di normalità e naturalità! Penso che per gli uomini, avviati fin da piccoli all’esilio dal loro corpo e dalla loro sfera erotico-emotiva profonda, sia un’impresa pressoché disperata il salvare qualcosa della propria storia; anche solo al livello del salvare il salvabile per metterlo sul mercato delle relazioni. Forse è una difficoltà legata a questo particolare momento storico, fatto sta che io la sento. Detto questo, non è che voglio piangermi addosso, perché c’è qualcosa di più importante che ci resta; qualcosa su cui possiamo contare. Che cos’è? Il qui e ora!
Io la vedo così: più che usare un qualche pezzo della mia identità passata per arricchire le relazioni di oggi, vorrei usare la ricchezza delle relazioni di oggi per scoprire e indagare in modo nuovo il mio passato, nonché il mio futuro. O in altre parole: la maggiore vicinanza alla realtà che sperimento oggi è in grado di dare più realtà anche alla mia storia maschile, che molte volte non riesco neanche a vedere, o che a volte sono tentato di giudicare irrimediabilmente improntata alla superficialità o alla prevaricazione; e invece c’è molto di più, nel passato e nel futuro. C’è molto di più, poiché c’è molto di più adesso. E questo l’ho imparato dalle donne, che negli anni del femminismo si sono riappropriate di un passato (di una genealogia femminile) che prima era semplicemente invisibile, e quindi inutilizzabile; e lo hanno fatto a partire dalla libertà che si sprigionava nel qui e ora dell’essere in relazione tra loro. L’ho imparato anche dal romanzo, “La mela nel buio” di Clarice Lispector, in cui una delle protagoniste, in età avanzata e grazie ad uno strano e contraddittorio innamoramento, scopre di avere un passato, e di avere in buona parte vissuto senza saperlo!
Perciò, sfruttiamo fino in fondo quello che abbiamo a disposizione in questo preciso momento, che è tanto, e che è testimoniato anche dalla voglia di rilancio e di scambio contenuta nel vostro intervento e in quello di Stefano. Io credo che voi possiate fidarvi del fatto che vi trovate di fronte a delle autentiche differenze maschili vive: certo, confuse, oscillanti, abbagliate da voi, con difficoltà a relazionarsi tra loro; ma comunque in movimento, sempre più curiose e sempre meno paurose, più capaci di reggere il negativo e i conflitti della quotidianità senza scappare lontano, fisicamente o mentalmente. D’altra parte è quello che cerco di fare anch’io per scoprire che cos’è e dove va la mia mascolinità: fidarmi. Fidarmi del fatto semplice e naturale che ho un corpo di uomo, e che ho un mio modo maschile di muovermi nelle relazioni e nella solitudine di oggi (relazioni e solitudine che sono più grandi e più ricche di quelle di ieri). Fidarmi che quello che emergerà dalla relazione tra me, le altre e gli altri sarà qualcosa che ora non posso assolutamente prevedere, ma per cui varrà senz’altro la pena…
Sperando di essermi spiegato almeno un po’, vi saluto e vi ringrazio per questa preziosa opportunità di scambio.