Luisa Muraro
Mi è stato chiesto di unirmi alla denuncia della violenza che patiscono tante donne da parte di uomini. Non è giusto, infatti, che questo stillicidio di morte che minaccia l’alfabeto della civiltà, venga messo tra i fatti di cronaca e presto dimenticato. Bisogna metterlo fra le questioni sulle quali non intendiamo sorvolare, come le guerre e le povertà estreme. Ma, trattandosi della violenza di uomini su donne e bambini, io pretendo che siano uomini a occuparsene per primi. Alcuni hanno cominciato. Io non voglio ripetere cose che sono state dette troppe volte da parte nostra, inascoltate. La seconda ondata del femminismo, ormai trascorsa, ha cambiato molte cose in meglio, ma la tendenza maschile a farsi valere con il disprezzo dell’altro sesso, nel suo fondo sembra immutata. Si è pensato che fosse l’espressione del dominio patriarcale, ma questo non c’è più nei termini del passato e quella persiste. Si pensa che oggi noi assistiamo alla reazione scomposta di una minoranza per la perdita del privilegio sessista. Neanche questo mi sembra assodato. La violenza più brutale è di pochi (non tanto pochi, per altro), ma il linguaggio del disprezzo è di molti, impossibile sapere quanti, forse i più: è il linguaggio di una virilità che forse per sua natura è una conquista e si sente perciò minacciata e fragile. E che, per di più, non trova aiuto nella cultura dominante i cui protagonisti, scientifici, religiosi, politici, delle donne hanno un bisogno di cui sanno troppo poco. «Credevo che lei fosse una donna, mi scusi», ha scritto una lettrice al direttore di un femminile. Mi scusi: non sia mai che una donna non riconosca la virilità di lui.
Se, da questo punto di vista, il femminismo è passato invano, io penso che c’entri anche la mancata rispondenza nella cultura politica che pretendeva di stare dalla parte delle donne. In pieno femminismo, ricordo la vicenda di una donna uccisa sulla porta di casa dal compagno, erano entrambi ferrovieri e iscritti al sindacato, lei aveva deciso di andarsene con la loro bambina, sul suo diario il giudice potè leggere gli inutili sforzi che aveva fatto per convincere l’uomo, troppo preso dalla militanza, a stare un po’ in famiglia. L’Unità le dedicò un commento in prima pagina, firmato da un suo commentatore abituale, che cominciava e concludeva su questo motivo: perché Caino uccide Abele? Sordo, distratto, astratto. È da qui che bisogna ricominciare, e da tutta una cultura progressista che ragiona come se le donne fossero uomini o, altrimenti, da meno e disponibili. E che quasi ostenta la sua ignoranza della verità riguardo agli inizi e alla cura della vita (che non si trova nei laboratori, come credono gli scienziati e ora anche i papi, dimentichi di Dio e della mamma). Che cosa la rende così terribile, questa verità, che vi impedisce di guardarla in faccia?