Pubblichiamo questi contributi ora, anche se scritti diversi anni fa, perché mostrano il lungo percorso che diversi uomini hanno fatto e continuano a fare, mettendosi in relazione con il sapere delle donne. Vi possiamo scorgere il lavoro di quei gruppi che tengono le relazioni fra i sessi come cardine dell’agire politico.
11 Settembre 2013

Via Dogana e le relazioni

di Gianni Ferronato


Castelfranco Veneto, Aprile 1994

Ho scelto tre articoli per parlare di Via Dogana e li ho scelti in modo che esprimessero lo stato attuale del mio itinerario di presa di coscienza dell’ “ordine simbolico materno”.

Questo itinerario comincia con una coincidenza significativa e cioé un lungo percorso comunicativo con Adriana Sbrogiò (da14 anni) e la lettura de L’ordine simbolico della madre di L. Muraro (da qualche mese).

Non avrei mai apprezzato fino in fondo il valore di Adriana e l’importanza delle cose che lei da sempre va dicendo e testimoniando con la vita se non ci fosse stato il libro della Muraro a darmene la chiave di lettura. Ne ho ricavato tra l’altro una migliore consapevolezza di punti di vista tipicamente maschili, come il dare per scontato molti diritti o per naturali molti comportamenti ai quali io pure ero o/e rischio di essere soggetto.

D’altra parte se non ci fosse stata la relazione con Adriana, il libro della Muraro mi sarebbe parso troppo estremista e troppo teori­co per invogliarmi ad un ulteriore approfondimento.

Nel mio itinerario precedente ci sono altre donne importanti: mia madre che ho sempre riconosciuto come una donna di mediazioni amorevoli, capace di andare oltre la rigidità dei principi e delle norme. Mia moglie che mi insegna la concretezza del quotidiano e la possibilità di dare significati profondi anche alle cose generalmente considerate banali o disonorevoli da noi uomini, ma che in fondo sono le cose essenziali per la vita: il nutrire, il curare, il pulire. Altre donne, Angela Vo1pini in particolare, mi hanno insegnato ad ascoltare e a legittimare i miei desideri profondi.

Solo ora però capisco che ciò che esse mi hanno insegnato non fa parte di un bagaglio di persone per caso di sesso femminile, ma fa parte di uno specifico femminile che prima non sapevo cogliere.

Il primo articolo è Guardo dove?  Dialogo tra una studente ed una inse­gnante di storia dell’arte di Katia Ricci e L. Muraro sul  numero 12 del 1993. Due paginette che sintetizzano a meraviglia ciò che è stato per me il contenuto più prezioso de L’ordine simbolico della madre anche se all’inizio il più difficile da accettare perché mi sembrava una bestemmia contro le migliori conquiste della democrazia. Questo contenuto è il primato del principio materno in quanto la relazione con la madre è la prima relazione di ogni essere umano, è il punto di vista che fonda la possibilità di spostarsi in altri punti di vista, è il termine di paragone di ogni altra relazione, è il luogo dove le parole esprimo­no direttamente l’esperienza della relazione e non come succede poi, specialmente a noi uomini, l’esperienza di altre parole secondo una serie di mediazioni che alla fine rendono irriconoscibile ed incomunicabile il nostro essere.

Il secondo articolo è La mia strada nel gran fumo della politica di Graziella Borsatti sul n. 4/5 del 1994 che riprende questo tema in ter­mini di esperienza politica. Viviamo in una società in cui le parole servono più a nascondersi che a ritrovarsi perché le mediazioni, che pure sono necessarie, sono mediazioni di potere e non mediazioni di amore. Condivido pienamente l’idea che la politica è ricerca incessante delle mediazioni e cura delle relazioni. Nel mio cammino io l’ho pensata con altre parole (quelle di E. Baroni): la politica è comunicazione di progetti. Ma ciò presuppone la cura delle relazioni tra gli uomini e le donne portatori di quei progetti. La cura delle relazioni è una preoccupazione più della donna che non dell’uomo. Noi ci proiettiamo di più nelle cose da fare, nei progetti, a volte rischiando assurdamente in nome di questi di perdere o dimenticare relazioni importanti.

Vorrei segnalarvi però un terzo articolo per comunicarvi una sensazione di disagio che prove a volte di fronte a certi atteggiamenti di donne. Si tratta di Una filosofia di guerra sulla vita di Laura Boella sul n°10-11 del 1993. Non conosco Hans Jonas e forse ho capito male, ma perché titolare Una filosofia di guerra sulla vita a proposito di uno che ha cercato di fondare un’etica della responsabilità basando la responsabilità di ciascuno di noi verso un altro sul semplice fatto che l’altro è in vita? Si potrà benissimo dire che questo approccio ha dei limiti (e io sono d’accordo). Ma quando si dice che questa è una filosofia di guerra ho come l’impressione che si voglia buttar via l’acqua sporca insieme al bambino perché questo signore è un uomo. E mi chiedo: dell’ordine simbolico paterno ci sarà pure qualche cosa di positivo da salvare? COSA?

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