Sono un’insegnante di scuola media e sono andata alla manifestazione di venerdì 17 con un cartello tipo sandwich; sul retro c’era scritto “nessuno è straniero nella mia scuola” e, sul davanti, “W le maestre, – W la scuola elementare a tempo pieno – parola di prof delle medie.
Mi sembrava giusto essere lì soprattutto per loro, per stare vicino e dare voce alle protagoniste di quel settore della scuola italiana la cui attuale eccellenza è indispensabile al cammino formativo delle giovani generazioni. Se la scuola perde la battaglia per la qualità alle elementari non si salverà nessun settore successivo, dalle medie alle superiori. Credo che tutta la scuola italiana post-elementare, si appoggi, nel proporre i suoi percorsi educativi didattici sulle “fondamenta” del sapere e del saper fare costruito dalle maestre.
Le/gli studenti arrivano alle medie con una valigia di competenze e conoscenze senza le quali non sapremmo da che parte iniziare il nostro insegnamento. Certamente, c’è chi arriva con la valigia piena e chi arriva con una più leggera, ma comunque mai vuota. Con onestà, possiamo anche dire che, a volte, ci mettiamo del nostro nell’alleggerire la valigia per far posto ai nostri contenuti, rompendo quel legame indispensabile al cammino del sapere.
Le maestre, a bimbi e bimbe che provengono da esperienze differenti (c’è chi ha fatto la scuola dell’infanzia, chi è affidato ai nonni, chi è stato con la mamma) e che non sono abituati a stare nei banchi e insieme, insegnano ad ascoltare, comprendere, comunicare e ordinare le informazioni; introducono man mano libri e linguaggi specifici; danno insomma quella formazione e quelle conoscenze senza le quali il cammino dell’apprendere sarebbe impossibile da percorrere.
Eppure questa loro maestria, più che non riconosciuta, è sconosciuta nel sapere comune: è un’ignoranza che percorre trasversalmente i ceti sociali da destra a sinistra.
In una assemblea cittadina a Sesto San Giovanni, quando la mia collega maestra Morena ha fatto vedere delle slide, che illustravano l’attività didattica delle due maestre in classe, molti genitori hanno affermato che non immaginavano che i loro figli “facessero tutte quelle cose”. Parlando con amici o con la gente al mercato, quando raccogliamo le firme in difesa della scuola, senti molta superficialità e ignoranza sul lavoro delle maestre. Sembra quasi che, per troppi, questo mestiere non sia proprio un mestiere. Forse perché un mestiere di donne?
L’onda sotterranea di un pensiero vecchio che fa l’equazione: lavoro di donne = non effettivo lavoro, percorre ancora il mare del sentire comune, nascosto sotto le ondine dei cambiamenti avvenuti nella società. Quando è stata proprio la magistralità femminile, applicando la cura, l’attenzione e la relazione all’insegnamento ai piccoli e alle piccole, che ha reso la scuola elementare il luogo d’eccellenza che il mondo ci riconosce.
Poi c’è un’altra ignoranza e superficialità diffusa: il pensare che la facilità del mestiere d’insegnare sia inversamente proporzionale all’età a cui è rivolto l’insegnamento. Senza sapere che il periodo che va dai 6 ai 10 anni è la stagione più delicata e bisognosa di attenzione, quella che determinerà l’andamento di tutto il processo formativo.
Per questo, se abbiamo veramente a cuore la scuola pubblica statale, dobbiamo sostenere e dare voce alle maestre, come hanno fatto studenti medi e universitari venerdì scorso quando con noi gridavano “no al taglio della scuola elementare”. L’avvocata Gelmini, nei commenti dopo la manifestazione, non riusciva a capacitarsi del fatto che anche i “…bidelli dell’università hanno manifestato contro il maestro unico”. Forse le nuove generazioni sono già portatrici di un sentire nuovo?
Allora, care maestre, continuate a raccontare il vostro quotidiano, a raccontarvi, come le due maestre ne La Lettera del Corriere del 18 ottobre, come Cristina Mecenero in “Voci maestre”, come le protagoniste del film documentario “L’amore che non scordo” perché la scuola, oggi più che mai, ha bisogno della vostra voce.
Gioconda Pietra
24 Agosto 2008