di Luisa Pogliana
Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Atlantia, la società che controlla Autostrade, si è dimesso in seguito al crollo del ponte di Genova. Con 13 milioni di “incentivo alle dimissioni”, a cui vanno aggiunti la liquidazione, un cospicuo pacchetto di stock option, e perfino la casa e l’auto pagate dall’azienda ancora per un anno. Si calcolano circa 20 milioni.
Oltre a farci fortemente arrabbiare, questa “buonuscita” ci fa riflettere, dato che è il funzionamento normale dell’economia finanziaria: profitto massimo e a qualunque costo. Chiediamoci chi dà questi soldi e perché. I soldi vengono da una comunità di finanziatori che premia questo AD per averle portato buoni profitti, non importa come.
Cosa si può fare? Penso alle grandi aziende americane
che hanno fatto un “manifesto” sulla loro intenzione di tenere più conto anche
di chi lavora, non solo degli azionisti. Non c’è da entusiasmarsi: è un modo di
rispondere alla pressione generata dall’iniqua distribuzione della ricchezza. I
princìpi vanno bene, ma le politiche per applicarli quali sono? Pensiamo per
quanto tempo la non discriminazione delle donne, manager in particolare,
fioriva negli statuti etici, ma non faceva parte delle politiche aziendali, era
relegata alla “responsabilità sociale” (più o meno come fare pozzi d’acqua in
Africa). Foglie di fico, salvare la faccia in borsa. Queste aziende “attente ai
lavoratori” potrebbero cominciare a darsi dei limiti: alla retribuzione smodata
dei top manager, alle buonuscite che premiano chi ha gestito male o con
pratiche delinquenziali. Ci sarebbero subito più soldi per chi lavora.
Penso piuttosto a cosa cambierebbe se nel CdA ci fosse il sindacato. E ci fosse
una rappresentanza dei consumatori del servizio/prodotto che è scopo
dell’azienda: darebbero più attenzione alla qualità di ciò che si produce che
alla quantità sempre maggiore di profitto.
C’entrano le donne in questa visione? Beatrice Webb, fondatrice della London School of Economics, la prima a concepire il management tenendo conto di tutti i soggetti che fanno l’azienda, ha scritto questi concetti 130 anni fa, nel 1891 (The Co-operative Movement in Great Britain), e il suo libro più noto si intitola Industrial Democracy (1897). Da allora questo filo rosso di pensiero corre ininterrotto tra le donne nel management, fino ad oggi. Bisogna che più donne con questa visione, con una testa di donne, entrino nei ruoli alti dove si decidono le politiche aziendali. Molto può cambiare.
(www.libreriadelledonne.it, 19 settembre 2019)