8 Aprile 2020
HuffPost

Il solito sguardo maschile non ci salverà

di Susanna Camusso


Finalmente il dibattito sulla ripartenza sta prendendo forma. Finalmente non per certezza sul quando, anzi, ma perché si può sperare che il mantra del “tutto tornerà come prima”, l’invocata normalità – affermazione di per sé già perigliosa – lasci spazio alla discussione su come costruire il nostro futuro.

Non siamo in una guerra, non è nemmeno un terremoto, non possiamo copiare le esperienze precedenti; neanche quelle della crisi finanziaria del 2008, che non solo oggi ci appare meno drammatica, ma soprattutto perché sono evidenti gli errori che si son fatti allora, o meglio come erano sbagliate le ricette adottate. Dà scarsa soddisfazione dire “l’avevamo detto”, ma certamente serve grande rigore nel pretendere che non si ripercorrano quelle strade.

Nell’emergenza – che non è superata – si sono già fatte delle scelte, alcune delle quali possono già dare indicazioni per il “dopo”. Due sopra di tutte: finanziare e potenziare il servizio sanitario nazionale, e fronteggiare le diseguaglianze perché non si allarghi la voragine. Emerge quindi la necessità di uno sguardo sociale, e si rende evidente la non sufficienza della logica “produrre, produrre” senza guardare cosa succede alle persone nella loro dimensione collettiva ed individuale.

In estrema sintesi, la politica ha il dovere di avere al centro del suo pensiero il come prende in carico la società, composta dalle persone, deve considerare la qualità del vivere perché le soluzioni siano per i molti e non per i pochi. Per sintetizzare, deve uscire dalla dimensione gratuita la “cura”; che non è attitudine femminile “dovuta e scontata”, marginale e non economica, ma è, invece, tratto necessario in un mondo che è giunto ai suoi limiti e va reso sostenibile socialmente, economicamente, ambientalmente.

Nessuna di queste dimensioni può essere isolata, non c’è quello che resta nelle mura di casa e quello che riguarda il palcoscenico pubblico. Occorre affrontare quella gerarchia di valore del lavoro, che già oggi è stravolta, ma che nessuno vuole nominare esplicitamente.

Due esempi: sono donne, ricercatrici, precarie le prime che hanno realizzato in Italia la sequenziazione del virus. Inoltre, l’Istat ci dice che la quota femminile di coloro che stanno lavorando è intorno ai due terzi delle occupate. Un numero impressionante che indica di per sé gli addensamenti per tipologie di lavoro.

Non molto tempo fa il rapporto europeo sulla parità di genere ci diceva che sul lavoro e sulla redistribuzione del lavoro di cura la situazione italiana peggiora, con un incremento delle ore di lavoro per le donne. Quelle donne al lavoro sono la base, per reddito e riconoscimento, della piramide dei lavori.

Il loro ruolo, mai riconosciuto come fondamentale, è in qualche modoconsiderato femminile proprioper indicarne se non il disvalore, il minor valore. Perché cura non è di per sé sinonimo di profitto, ma profitto non è di per sé sinonimo di benessere collettivo. Come non confessare la preoccupazione che, dopo averlo onorato durante la crisi, chi ci salvava dalla paura, chi si curava di noi, non solo della salute, debba tornare in ombra e non abbia parola sulla costruzione del dopo?

Si parla di cabine di regia, si aprono luoghi di confronto. Tutto teoricamente giusto, molti sottolineano la fondamentale importanza della parola degli scienziati (esiste anche il femminile scienziate) soprattutto per determinare i tempi.

Quelle cabine di regia, quei luoghi, avranno un valore di innovazione, di progettazione di sostenibilità effettiva, se non saranno ancora una volta il luogo del pensiero della parzialità maschile, ma sapranno coinvolgere il pensiero femminista e femminile, per rappresentanza e specialità. Dando valore ai saperi e alla capacità di mettere in relazione, di prendere in carico, di valorizzare le differenze. Riconoscendo un’elaborazione e un pensiero che certo non nascono oggi.

Ci sono evidenze statistiche di una maggior resistenza al virus delle donne (non in tutti i paesi sono omogenei), ma non si può immaginare di scoprire che questo sia l’unico argomento al femminile. Non è solo un tema di democrazia paritaria, anche se ne approfitto per dire che di democrazia abbiamo un gran bisogno, e qualche frattura già si vede a partire dal linguaggio bellico, dalla invocazione di ordine, dall’idea che da cittadini si diventi sudditi.

Forse la politica non conosce davvero le tante sapienze del mondo femminile e femminista, eppure ha la straordinaria occasione di scoprirle, di non fermarsi al noto ed abituale. Coraggio e capacità politica si misurano dal saper scommettere e scegliere di innovare.


(https://www.huffingtonpost.it/, 8 aprile 2020)

Print Friendly, PDF & Email