di Viviana Mazza
Si è dimessa Susan Wojcicki, dopo 25 anni a Google e nove come amministratrice delegata di YouTube. È l’ennesima recente uscita di scena di una donna ai vertici, che contribuisce ad allargare il gender gap della Silicon Valley.
Fu nel garage di Wojcicki che Larry Page e Sergey Brin idearono il loro motore di ricerca. Ha aiutato a concepire e sviluppare il mercato della pubblicità, ora dominante, di Google. Sotto la sua guida i ricavi di YouTube hanno raggiunto i 29 miliardi di dollari e gli utenti sono arrivati a 2 miliardi e mezzo. Il suo nome era stato ventilato come possibile futura ad di Google: ora è improbabile. A 54 anni, ha annunciato che lascerà il posto per motivi personali, parlando di «un nuovo capitolo», con al centro la famiglia (ha cinque figli), la sua salute e progetti che la appassionano. Una sua ex dipendente scrive su LinkedIn che, appena tornata dalla maternità tra solitudine e sensi di colpa, le chiese consiglio e la risposta di Wojcicki la aiutò: «Non devi essere grande in tutto, solo brava quanto basta»»
La notizia ha provocato sui social un’ondata di commenti, sia di elogio per una pioniera che di preoccupazione da parte delle donne che lavorano nel settore. Wojcicki è l’ennesima donna a lasciare i vertici di Big Tech negli ultimi tempi. L’anno scorso a 52 anni Sheryl Sandberg si è dimessa da capo delle operazioni di Meta, dichiarando: «Quando ho iniziato questo lavoro speravo di restarci per cinque anni. Quattordici anni dopo, è tempo di scrivere un nuovo capitolo». Meg Whitman, 61 anni, se n’è andata da Hewlett-Packard nel 2018, dopo sette anni come ad, per assumere la guida di Quibi, piattaforma di streaming presto fallita; ora è ambasciatrice Usa in Kenya. Nel 2020 Ginni Rometty, 62 anni, ha lasciato Ibm dopo quattro decenni nell’azienda e una guida di 8 anni caratterizzata da ricavi in calo e un crollo del prezzo delle azioni. Nel 2012 c’erano grandi speranze che la 37enne Marissa Mayer potesse risollevare le sorti di Yahoo come ad, ma non ci riuscì e si dimise nel 2017 con l’acquisto di Verizon e rivelazioni su falle nella sicurezza tenute nascoste.
Ogni donna e ogni azienda ha la sua storia, ma una cosa che accomuna quelle sopracitate sono le critiche feroci per la loro performance, a volte sentite come attacchi personali, e il fatto che i successori sono uomini. Secondo Bloomberg News, nove anni come ad a Silicon Valley non sono pochi. Ma le donne ai vertici oggi stanno cambiando lavoro in numeri record, dice uno studio di McKinsey e di Lean In, l’organizzazione no-profit fondata da Sheryl Sandberg. «Il problema non è che le donne lasciano, è che ce ne sono troppo poche – dichiara Sandberg – Nessuno scrive articoli sugli uomini che lasciano i posti di rilievo, eppure succede in continuazione. Ma siccome ci sono così poche donne leader è più straordinario quando accade a noi. Dobbiamo rendere lo straordinario ordinario».
Molte donne hanno lasciato il lavoro a causa della pandemia. Nell’ondata di licenziamenti degli ultimi mesi dei giganti della tecnologia, le donne sono particolarmente colpite perché spesso di più recente assunzione e in ruoli sentiti come meno prioritari. Rischiano così di diventare ancor più minoranza, ed essere minoranza è un ulteriore peso che porti sulle spalle.
Non è che non ci siano ancora donne potenti nel mondo di Big Tech. Ma è interessante che tendano a mantenere un profilo pubblico più basso. Safra Catz, ad di Oracle, raramente dà interviste. Susan Li, promossa direttrice finanziaria di Meta a novembre, non ne ha fatta ancora nessuna. Lisa Jackson è una delle cinque donne nella leadership di Apple (gli uomini sono 13). Lisa Su, ad di Advanced Micro Devices, è l’eccezione: parla spesso con i media.
Le (ex) regine della Silicon Valley
Facebook: L’anno scorso a 52 anni Sheryl Sandberg si è dimessa da capo delle operazioni di Meta, la società che controlla Facebook e Instagram.
Hewlett-Packard: Meg Whitman lasciò la multinazionale dell’informatica nel 2018, dopo 7 anni.
Ora è l’ambasciatrice americana in Kenya.
Yahoo: Su Marissa Mayer, nel 2012, c’erano grandi speranze di risollevare il provider di servizi web. Andò male e lei dovette dimettersi cinque anni dopo.
(Corriere della Sera, La ventisettesima ora, 19 febbraio 2023