di Marta Dal Corso,
Diventare madre oggi è una scelta personale e sociale. Come le trasformazioni sociali stanno cambiando il concetto di maternità e quale ruolo giocano le donne oggi nel definire nuovi modelli di sviluppo? Ne abbiamo parlato con Riccarda Zezza e Anna Fiscale.
Il report “Italia Generativa” definisce l’Italia un Paese surplace: come un ciclista fermo sul posto, impegnato a mantenere un equilibrio ma incapace di darsi uno slancio nei confronti del futuro. Il tasso di natalità incide in un quadro politico che riflette una generale staticità. D’altronde le trasformazioni della struttura demografica rispecchiano anche i mutamenti culturali della società odierna: nonostante le giovani donne siano oggi più istruite, il tasso di inclusione lavorativa, il livello degli stipendi e le possibilità di carriera restano inferiori, mentre il 71% del carico familiare è ancora responsabilità delle donne. Diventare madre è oggi sia una scelta personale che sociale!
Nella festa che celebra la figura della madre, ci chiediamo cosa sta cambiando, cosa possiamo imparare dalla maternità e come questa possa diventare motore di crescita per uno sviluppo personale, culturale, economico e sociale. Ne abbiamo parlato insieme a Riccarda Zezza, CEO e Founder di Lifeed – l’azienda che dal 2015 sta cambiando il mondo del lavoro trasformando le esperienze di vita in competenze funzionali alla crescita di persone e imprese; e ad Anna Fiscale, ideatrice e Presidente dell’Impresa Sociale di moda etica Quid.
– Riccarda, cosa significa oggi diventare madre?
Credo che oggi questa domanda sia più importante della risposta perché ad essere sinceri non ce la facciamo mai. Oggi ci chiediamo: Perché non nascono più figli? Qual è il tasso di occupazione femminile? Ci soffermiamo a parlare di maternità surrogata senza nemmeno definire cos’è la maternità! Ci facciamo quindi domande su quei temi che provocano problematiche politiche mentre le madri, per loro natura, sono portate a fornire soluzioni immediate. Ecco perché non interessa chiederselo! Invece penso che iniziare a farci questa domanda ci porterà a nuove opportunità perché ci obbliga a riconoscere la complessità dei fenomeni umani. L’effetto? Usciremo da risposte parziali e stereotipate!
– Credi che ci sia una narrazione che ha cullato la nostra idea di maternità?
Nel genere umano sono insiti due istinti: quello della caccia (che oggi si è tradotto nel gioco a somma zero dove o si vince o si perde) e quello della cura. La maternità è un modello primordiale e istintivo. Il cervello produce ormoni che premiano il comportamento di cura. Di fatto la maternità è diventata un modello di potere, solo che nella storia è stato limitato all’ambito familiare.
Ma cosa accade quando questo modello viene portato nel mondo sociale? Possiamo prenderci cura del mondo con il lavoro! Possiamo trasferire quegli elementi istintivi che caratterizzano la maternità per favorire lo sviluppo dell’Altro. Per farlo dobbiamo agire sulla Cultura, fare spazio a nuove narrazioni ed essere disponibili a ripartire da pagine bianche, da nuovi tavoli collaborativi.
–Quale valore emerge dalla maternità?
La maternità sviluppa nella donna una leadership femminile molto forte. Le ricerche ci dicono che quando si pensa ad un leader si immagina una persona che guidi con l’esempio, che sappia far crescere, che ascolti e comprenda. Una persona con visione capace di creare progetti che gli sopravvivono. Non sono forse qualità che le madri esercitano quotidianamente nella dimensione privata?
In Lifeed abbiamo lavorato con oltre 40mila persone e abbiamo rilevato che in media le persone hanno almeno cinque ruoli sociali. Solo il 30% delle energie sono spese nel contesto lavorativo, il 70% delle proprie risorse, di carattere creativo e relazionale, vengono espresse dove ci si sente coinvolti a livello espressivo, liberi di esprimere il proprio talento.
Il tema è importante per le organizzazioni perché è evidente che la persona, nel lavoro, non è considerata nella sua interezza e non utilizza a pieno tutte le proprie capacità: se questo è un limite per tutti, per le donne lo è ancor di più.
– Le trasformazioni sociali degli ultimi decenni verso quale idea di maternità ci stanno portando?
Quando parlo con le ragazze mi rendo conto che hanno paura della maternità. Vedono qualcosa di oscuro, solitario, problematico, che mette a rischio la loro indipendenza sociale ed economica perché oggi la maternità viene raccontata con due assunti: o è ultra-cool (e quindi sei una mamma super) o è limitante (e sei una mamma affaticata). Non ci sono viene di mezzo.
Invece quando sono diventata madre io mi sono accorta improvvisamente che tutto l’amore che avevo cercato era entrato nella mia vita. La maternità libera la possibilità di amare prima ancora di essere amato e questo non ce lo racconta nessuno. Il tema quindi è vedere la maternità come un pezzo di noi che dialoga con le nostre anime, prende spazio ma non può essere nostro antagonista. Siamo un complesso di desiderio, leggerezza e amore. Dobbiamo scrollarci di dosso quell’idea sacrificale che per anni ha portato le donne a dimenticarsi di loro stesse nella relazione con il figlio. Dobbiamo anche scrollarci di dosso quella patina di perfezionismo che fa credere che tutto sia idilliaco. Dobbiamo dare alle donne nuovi specchi con cui guardarsi perché la questione riguarda la crescita della donna che si abbina, ma non si estingue, alla relazione materna.
Esistono quindi scelte individuali che generano un impatto sociale, leadership femminili che emergono e che ci portano verso nuovi modelli culturali. Ma come gestire tutto questo?
– Anna, sempre più le donne sono spaventate dall’idea che la maternità possa essere un freno al proprio sviluppo. Tu, come hai vissuto le tue scelte?
Donna, moglie, madre: mi sono sempre vista così, in scala, e sono consapevole che non potrei essere me stessa se dovessi scegliere di essere solo una di queste parti. Non mi sentirei compiuta fino in fondo! Sono una donna appassionata e dedita al mio lavoro, in fin dei conti sono madre anche del mio progetto, ma per me era fondamentale accompagnare al mio sviluppo lavorativo anche uno sviluppo familiare, con le sfide che questo comporta!
La prima maternità l’ho vissuta quando Quid era a metà della sua strada. Io ancora non delegavo, non sapevo ancora farlo. Le riunioni le facevamo nel salotto di casa dopo tre settimane dal parto. In quel periodo non ero ancora abbastanza attrezzata ma mi è servito per capire come ridefinire il mio ruolo professionale, bilanciare la maternità e il lavoro, come dare vita ad un’organizzazione familiare equilibrata e paritaria con mio marito. È stato un percorso di consapevolezza.
– Da un lato donna e dall’altro madre. Esiste un modo per non scindersi in più identità?
Sapersi ascoltare e saper leggere i segnali che il nostro corpo ci dà. Facendolo riusciamo a fidarci della vita perché se si aspetta il momento perfetto per fare le cose, non ci sarà mai! Invece possiamo diventare consapevoli che le cose andranno anche diversamente da come le immaginavamo. Io, ad esempio, non pensavo che essere madre sarebbe stato così bello. Ma è anche faticoso e totalizzante! Ho scoperto che sapermi adattare alle situazioni mi permette di trovare soluzioni che mi aiutano a stare bene e farmi crescere.
– Incontri tutti i giorni donne e madri provenienti anche da culture diverse dalla nostra: quali abitudini ti colpiscono?
Mi colpisce molto il concetto di maternità diffusa che hanno le donne africane in cui è il villaggio che educa i bambini. La comunità diventa quindi educante. È un aspetto che mi fa ragionare sull’importanza di creare anche nei nostri contesti una rete relazionale tra donne, ma non solo, che diventi fonte di supporto e sviluppo per tutti.
– Quali soluzioni si potrebbero adottare per consentire alle donne scelte più includenti?
Spesso la maternità viene percepita dalle aziende come un periodo destabilizzante. Credo che gli incentivi economici possano essere un supporto però non bastano. Seguo il lavoro di Gigi De Palo sul Forum della Natalità e penso che siano necessarie scelte politiche lungimiranti. Ma anche nei luoghi di lavoro si può fare qualcosa! In Quid, ad esempio, abbiamo scelto di lavorare in produzione con orari positivi per le donne, dalle 8 alle 15.30 per permettere loro di avere un tempo oltre al lavoro. Rispetto agli uffici e alle aree commerciali le dinamiche cambiano ma un lavoro che offre flessibilità e che consente di lavorare per obiettivi può favorire il lavoro femminile e diventare un incentivo ambizioso!
(Fondazione CattolicaVerona, 12 maggio 2023)