Alberto Leiss
Mi sono chiesto che cosa vuol dire, a proposito del lavoro, nominare il valore simbolico della relazione “in sé”, come fa Lia Cigarini, distinguendola dalle relazioni strumentali, cioè “intrecciate per raggiungere obiettivi dati (ad esempio, posti di potere per governare in nome del bene comune)”.
I concetti di “sfruttamento” e “alienazione” sono stati riferiti alla relazione tra “proletario” e “proprietario” (tra servo e padrone), e alla relazione tra produttore e prodotto. La prima – secondo il vecchio Hegel – è un conflitto per la vita e per la morte, necessario al riconoscimento di sé. E’ vero che il movimento operaio, che ha basato la propria costituzione soggettiva su questa relazione conflittuale, ha nel tempo sostituito alla “morte dell’avversario” una pratica di “contrattazione” (i comunisti russi, e non solo loro, però, hanno davvero eliminato fisicamente padroni e classi di padroni).
Nella lotta, materiale e simbolica, contro i “padroni”, si è poco riconosciuta la qualità delle relazioni tra i “servi”, se non nei termini di solidarietà e uguaglianza. Per spostare i rapporti di forza serve una solidarietà tra i deboli qualificati come “uguali”. Questa dialettica si è svolta in un universo dominato dal maschile.
Servi e padroni esistono ancora. Ma la libertà che poteva essere conquistata sulla base del desiderio del servo forse è stata simbolicamente raggiunta. Intanto è avvenuta, nella sfera di un privato che tende a farsi politico, la libertà femminile. Viviamo il fenomeno della femminilizzazione del mercato del lavoro. Questi dati della realtà spingono in secondo piano la relazione conflittuale servo-padrone, e portano in primo piano la relazione conflittuale uomo-donna, anche nel contesto pubblico/politico del lavoro, come quella realmente costitutiva del sé? Forse sì, come aveva annunciato Carla Lonzi.
Resta la relazione tra produttori/produttrici e prodotto. Il carattere strumentale delle relazioni nei luoghi di lavoro non segue solo una logica di potere, ma anche quella delle funzioni tecniche per la realizzazione di beni e servizi. La qualità e l’efficacia, il controllo dei processi, la soddisfazione di clienti e utenti: tutto ciò (oggi al centro di teorie di gestione dell’impresa post-fordista che mettono sempre più al centro le risorse comunicative, e persino “emotive” del personale) può essere rimosso come inessenziale nella costituzione di senso del lavoro?
Si può dire che il fine del lavoro – luogo di socialità primario, accanto alla famiglia – non è tanto il prodotto, quanto la qualità delle relazioni (tra individui differenti) che si intrecciano nella produzione? E un rapporto non alienato con il prodotto significa anche vedere i contenuti relazionali del prodotto stesso. Un’automobile meno pericolosa, treni in orario, un metodo didattico più critico, un giornale utile ai suoi lettori…). O la cura della qualità del prodotto rischia solo di rifare il gioco del padrone? Bisogna vedere: qualità a vantaggio di chi?