Gabriella Garatti Villasanta (Milano)
Leggendo “Politiche femminili: il capitale le fa meglio” la prima cosa che ho pensato è che l’articolo dà per scontato che non siano state le donne della delegazione sindacale a richiedere l’autogoverno dell’orario, magari in cambio di un maggiore utilizzo degli impianti o una riduzione dei tempi di produzione. Le sindacaliste metalmeccanìche hanno da tempo deciso di intervenire sull’orario di lavoro con rivendicazioni in termini di tempi scelti, elasticità degli orari, job sharing (lavoro condiviso), e l’ultima piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale è stata caratterizzata da queste richieste. Certo il sindacato in quell’occasione non ha fatto leva sull’amore femminile per la libertà per raggiungere un buon accordo, se ha puntato sulle molestie sessuali.
Riflettendo insieme ad altre, mi sono accorta di come spesso, seguendo il normale modo di lavorare al sindacato, io sia arrivata a proporre alle lavoratrici scelte rivendicative prima ancora di chiedere loro cosa desiderassero. Mi affidavo piú agli studi sulle donne che non alla relazione politica con le dirette interessate. Spiegavo loro che cosa dovevano rivendicare trattandole da minorenni che non riconoscevano ciò di cui avevano bisogno. Nel tempo ho imparato ad avere fiducia nella capacità di mediazione con la realtà che le lavoratrici sanno esprimere, e che esprimono anche rifiutando le politiche femminili intese come tutela. Ciò che va pensato è che il cambiamento lo produce chi è presente costantemente in un luogo, senza bisogno di delegare a professioniste della rappresentanza il compito di realizzare i propri desideri. Questo non significa che debba sparire il sindacato e con esso le sindacaliste, ma che il loro lavoro deve cambiare. Non devono sostituirsi alle donne che lavorano in fabbrica ma aiutarle ad agire in prima persona, utilizzando spazi che già ci sono e restituendo senso ai comportamenti che le lavoratrici mettono in atto. C’è bisogno di pratiche di libertà.
Dopo dieci anni di assenza per attività sindacale sono ritomata a lavorare nell’azienda elettronica che avevo lasciato per seguire la mia passione politica (ma la mia passione non si è esaurita). Osservando e discutendo con alcune compagne di lavoro, ho potuto constatare dei cambiamenti introdotti dalle donne. Per esempio, che la maternità viene vissuta come una scelta da far convivere con il lavoro contrattando -individualmente orari particolari: senza cioè cercare ulteriori tutele, ma determinando delle situazioni che, se conosciute, possono essere utili per altre (come me, nella mia nuova matemità).
Perciò sono portata a pensare che, se il capitale per i suoi scopi fa leva sull’amore femminile per la libertà, anche le donne sanno trame profitto. Le resistenze si incontrano nella struttura dell’azienda, a causa della mentalità industriale e dei valori simbolici cui fa riferimento, come la competizione al posto della collaborazione. Le politiche che il capitale vuole affermare sono contraddittorie.
Gabriella Garatti Villasanta (Milano)