Piera Moretti
Questo testo è la versione abbreviata di un intervento presentato a un seminario sul lavoro – “La vi ta attiva”, Mestre, marzo 1993 organizzato dall’associazione ione politica La rete della differenza.
Di professione faccio la domestica. In passato ho avuto un atteggiamento negativo, reattivo di fronte a questo lavoro, oggi è per me una cura, un amore verso il mio genere. Nelle case in cui lavoro offro una presenza positiva per favorire i legami tra donne (tra zie e nipoti, tra madri e figlie e nonne), legami in cui io c’entro indirettamente, senza eccessivo coinvolgimento emotivo, affettivo. Il mio luogo di lavoro è un luogo privato, una casa, una famiglia, i miei rapporti sono con persone che vivono una dimensione di vita intima. Ho sviluppato un atteggiamento distaccato, una capacità di capire il momento in cui parlare, quello in cui tacere. Silenzio e delicatezza sono condizioni del mio lavoro. Però se un padre si intromette violentemente tra le figlie, allora decido di íntervenire.
Attraverso il mio lavoro ho cambiato continuamente situazione, sono venuta a contatto con tradizioni, modi di vita, culture diverse, stili, dialetti diversi. E’ stato un attraversamento, un percorso di conoscenza che ha allargato il mio orizzonte mentale. Donne diverse mi hanno insegnato a lavorare, ad entrare in rapporto con le cose, la realtà. Certamente l’origine di questa genealogia sono le suore con le quali ho vissuto dai 3 ai 14 anni. 1 primi criteri da me utilizzati provengono da una comunità religiosa femminile. Ho imparato a cucire, stirare, fare attenzione, restare in silenzio, curare i fiori, gli animali ‘ ricamare, cantare, recitare, rendere allegre le altre.
Di mia madre, che era stata costretta ad affidarmi piccolissima alle suore perché non poteva provvedere al mio mantenimento, ricordo la capacità di ricavare da uno straccio un fazzoletto da naso, sul quale poi faceva gli orli a mano. Mia madre non buttava via niente, riutilizzava ogni cosa, quel poco che aveva lo sapeva conservare a lungo.
Questo criterio, di recuperare ciò che al momento sembra non servire, è valido anche in politica e lo interpreto cosí: non vanno buttate via energie preziose, ma è bene imparare a riutilizzare ciò che è a nostra disposizione, reinvestire i guadagni, fare leva sulle risorse reali.
Oltre al saper mettere cose da parte c’è anche l’arte di far durare a lungo le cose. Donne per le quali ho lavorato in passato avevano quest’arte, anche se erano economicamente più favorite di me. Essa non è infatti legata alla povertà ma al forte senso della possibilità, alla capacità di previsione. E’ un risparmio per il futuro, un tener aperto il futuro. Anche nella politica va bene questo criterio.
Attualmente ho scelto di lavorare per una signora che ha fatto della conduzione della casa una sua preziosità. 1 suoi criteri di conduzione coincidono con i miei, e ho potuto far affiorare in me un desiderio di ricerca sulla preziosità del lavoro di cura. La civiltà della casa sorge dal saper fare i conti con il tempo a propria disposizione. Guadagnare tempo, risparmiare energia e soldi è un criterio fondamentale del lavoro di cura. Governare, in fondo, vuol dire capire come mettere insieme cose diverse, come farle stare dentro un’armonia, un orizzonte più grande.
Il mio lavoro è considerato servile. Ma ho servito donne ricche che servili lo erano veramente. Esse mi chiedevano di servire i loro mariti, i loro figli. Sentivo l’impossibilità di ricevere da queste donne rassegnate quel l’autorizzazione a stare al mondo che sempre ho chiesto alle mie simili. Voglio però ricordare una donna per la quale ho lavorato, che ha fatto nei miei confronti un gesto di valorizzazione. Invece che abiti smessi e oggetti vecchi, mi regalava libri e oro. Questo gesto mi ha fatto fare uno scatto, mi ha aperto la mente. Avevo 23 anni, e dopo avere ricevuto questa valorizzazione ho pensato in maniera diversa. Da lí inizia il mio percorso verso la preziosità.