Orella Savoldi FILTEA di Brescia
Le firme delle intese sindacato – governo – imprenditori, quella dell’anno scorso e quella di due anni fa, avevano suscitato molta opposizione. Nel luglio di quest’anno, la conclusione del contratto dei metalmeccanici, che di quelle intese è figlio, viene salutata con soddisfazione da tutti (o quasi): un accordo “storico”. Questa stranezza si spiega con l’impoverimento della discussione sindacale, che negli ultimi tempi è stata dominata dalla contrapposizione fra chi agiva una sorta di rappresentanza presunta, nella convinzione di conoscere il “bene” di chi lavora, e chi invece avrebbe voluto al centro “i lavoratori, le lavoratrici”, “la nostra gente”, “gli iscritti” e così v ia. E tutta la discussione si esauriva nell’invocazione di nuove norme che regolassero i rapporti collettivi. Oggi questa discussione, che, pur nei suoi limiti, aveva a che fare con un interrogativo sul senso del sindacato, è ancora presente ma per certi aspetti ha subito un arretramento. Probabilmente l’accordo intervenuto sulle Rsu – il cui esito là dove è già stato appli cato si limita ad essere valutato quantitativamente in un’ottica competitiva (tanti delegati della CGIL, tanti della CISL, ecc.) – per molte e molti sembra aver esaurito il problema: il voto di lavoratori e lavoratrici oltre che costituire l’esercizio di un diritto democratico tanto invocato, viene interpretato anche come legittimazione delle politiche sindacali dell’organizzazione prescelta. Inoltre, dopo.le ultime elezioni politiche, all’interno della CGIL sembra prevalere una sorta di patto tacito che consiste in un ricompattamento fra posizioni diverse. Un atteggiamento tutto teso a difendere il sindacato che c’è: un sindacato tutto teso a misurare le scelte del nuovo governo.
Il problema è ancora una volta di autolegittimazione. L’esito delle ultime elezioni ha confermato che nel mondo del lavoro qualcosa nei comportamenti è cambiato. Di fronte a questo, chi all’interno del sindacato fino a ieri ha cercato legittimazione attraverso gli accordi che andava definire con i vari governi, ciecamente pensa ad una continuità non importa a quale prezzo. Altri, consapevoli di non sapere bene dove sono e chi sono i lavoratori, riconducono però ancora il problema alle regole democratiche e sono alla ricerca di nuove idee per convincere lavoratori e lavoratrici e per contrastare le politiche del nuovo governo correndo il rischio, a mio parere, dell’inefficacia. In tutto questo dibattere, spendere tempi ed energie, restano nell’insignificanza gli uomini e le donne al lavoro, le esperienze concrete di uomini e donne anche dell’organizzazione sindacale, i saperi, le intelligenze. Questo a mio parere è il nodo: la discussione sindacale prevalente si misura su interpretazioni astratte e non sui processi reali che sono accessibili solo nello scambio con uomini e donne nelle loro esperienze concrete. L’assenza di radici nei rapporti concreti porta a interpretazioni che si Confrontano su un piano ideologico: l’oggetto dell’attenzione non essendo la pratica, questa non suggerisce alcuna indicazione e la parola va per conto SUO.
Ciò non credo avvenga per cattiva volontà di sindacalisti o sindacaliste, né per una sorta di tradimento della causa da parte di alcuni, alcune. Penso sia legato ad una interpretazione della realtà che parte dai rapporti collettivi facendo una operazione di taglio su ciò che avviene prima, e che rimanda un’immagine fatta di tante scatole: organizzazione sindacale, organismi dirigenti, mondo del lavoro, i lavoratori, le donne, i soggetti deboli, la destra; scatole i cui confini di volta in volta sono ridisegnabili ma entro cui si continua a non voler vedere le singolarità nel loro agire concreto.
Ciò che manca nel dibattito sindacale, infatti, nel confronto frontale fra scatole e scatole, è la centralità delle singole esperienze concrete di uomini e donne. lo voglio sape~ re chi sono e cosa voglio quale scommessa metto in atto con l’altra/o quale promessa scambio, verso cosa e con quale pratica. Allora non si tratta di partire da un piano collettivo né di partire da sé per arrivare ad altre/i, ma certamente di partire dalla mia esperienza concreta, da ciò che questa mi suggerisce per mettermi in relazione con altre/i che già ci sono. Un mettersi in relazione che presuppone una pratica di ascolto dell’altra/o per capire chi è e che cosa vuole, quale agire possibile ci accomuna. L’ascolto per altro permetterebbe di trarre indicazioni precise anche a chi oggi tenta di ricondurre ciò che sta avvenendo ad un arretramento culturale che per essere rimediato necessita di memoria storica (non si sa bene in che modo). Invece, ciò che l’ascolto mi suggerisce è che si tratta di un’altra cultura che sta agendo, che dice la necessità di scambio: uno scambio politico che, a mio parere, può avvenire solo in presenza e non a colpi di messaggi e richieste di consenso. Questo scambio è avvenuto, per esempio, quando 10 ed altre abbiamo discusso delle Rsu nelle fabbriche. Nelle aziende tessili del bresciano c’è un diffuso rifiuto delle Rsu, per ragioni significative, come: la sfiducia in questo sindacato e il ritenere che le regole non siano essenziali. L’ascolto ci ha permesso di trovare soluzioni caso per caso. Dove non ne volevano assolutamente sapere, le Rsu non sono state fatte. Dove la questione era: “abbiarno le nostre rappresentanti che ci vanno bene da ventidue anni, perché adesso dobbiamo rieleggerle?”, ci siamo messe d’accordo per ricandidare le stesse. In altre aziende, dove la vecchie delegate non venivano piú riconosciute, o dove non ce n’erano ma ragionando è emersa la consapevolezza che essere organizzate o no è la stessa cosa (in una realtà in cui l’arroganza padronale si fa ogni giorno piú pesante), abbiamo valutato che era opportuno fare le Rsu. Le candidature sono state giocate dalle lavoratrici in base alle relazioni sul posto di lavoro, senza il meccanismo competitivo tra organizzazioni diverse: sono state elette cosí, a prescindere dal l’organizzazione sindacale di appartenenza, donne che dimostrano di avere piú presa sulla realtà, donne, che, come dicono le compagne, “hanno carattere”.
La politica della differenza agíta da alcune nel sindacato ha già indicato la strada della pratica delle relazioni: si tratta di guardare semplicemente le relazioni che già esistono, anche nel contesto sindacale che è fatto essenzialmente di rapporti e non di scatole e dalle relazioni trarre dati di realtà, elaborazioni ed indicazioni per un agire aderente alla scommessa che si vuole giocare.
In questo modo anche molte donne potrebbero definitivamente uscire da quel rivendicare autonomia di percorsi e regole sempre dentro scatole separate, che non ha fatto altro che riconfermare la marginalità dell’esperienza femminile nella politica di un’organizzazione che resta prevalentemente sorretta da regole maschili.