Luisa Muraro nella sede della Mag(Mutua per l’autogestione) di Verona, presenti Loredana Aldegheri presidente della Mag, Maria Teresa Giacomazzi della Mag, Idria Zappulla coordinatrice e presidente dell’associazione Davas (servizi), Giovanna Zago coordinatrice di una coop. Cpl (servizi sul disagio), Antonella Bianchi della Mag, Paola Tosi della Mag, Grazia Marchi tirocinante alla Mag, Antonietta Ciancia presidente coop.”Le tre ghinee” (assistenza anziani).
Del comunismo io voglio salvare che il lavoro delle persone abbia un riconoscimento, una dignità, e che sia fonte di libertà. – Sí, privilegiare il mondo del lavoro. Non mi sta bene l’impostazione economica di questa società. Quello che si vedeva nel comunismo era una proposta alternativa. Allora, cerchiamo di capire che cosa si può recuperare, perché sono molte le cose che devono essere recuperate. – Per esempio? Una qualità della vita diversa. – Per me, non dovrebbe perdersi almeno la speranza. Per me il comunismo è stato un sogno. – Io voglio salvare la centralità dell’uomo (e della donna) e l’internazionalità. E anche la giustizia sociale: non è casuale che faccio il lavoro che faccio. Qui mescolo probabilmente le mie esperienze attoliche e comuniste. – Io, la libertà. Anche il Vangelo ha alcuni valori – solidarietà, uguaglianza – che si avvicinano a quelli del comunismo, ma manca la libertà di espressione. – Un cambiamento soprattutto per gli ultimi. E’ un concetto cristiano ma lo ho sempre sentito questa opzione nel comunismo: stare da una parte e non in tutte le classi sociali. Ma, soprattutto, non vorrei che si perdesse, perché io non l’ho persa e come me molte, l’attesa di cambiamento che si traduce nelle azioni, questo senso delle cose che faccio tutti i giorni in funzione di un qualcosa di nuovo. – Cominciamo da subito a renderli centrali, questi ultimi! Questo non possiamo lasciar perdere del comunismo: il tentativo di realizzare qui e ora delle modalità di condurre l’economia, d’impostare l’ordine sociale, dove sia consentito a tutti (e a tutte) di esprimersi nel pieno di tutte le potenzialità. – Chiaramente, molte cose che abbiamo visto del comunismo, dovevano essere corrette, ma bisognava lavorare con quell’idea. – Perché usi il passato? – Adesso mi pare che tutto sia omologato.
Il comunismo-ricordo
Avevo quattordici anni, mio padre era un operaio comunista iscritto alla Cgil in un paesino dove la Dc aveva l’80% dei voti, c’era in televisione un dibattito su problemi del lavoro e qualcuno, forse mia madre, aveva fatto dell’antisindacalismo; allora mio padre si è alzato in piedi e ha gridato: “ma voi non capite niente, senza sindacalisti comunisti, noi oggi si lavorerebbe ancora quattordici ore al giorno”. Ricordo che avevo un nodo alla gola, perché si trattava di dare valore al lavoro e questo me lo sono sentito dentro sempre. La mia scelta della cooperazione, credo, è il mio modo di portare avanti, in forma rielaborata, attuale, quelle radici. – Anche nel mio caso il comunismo è stata una scoperta fatta nell’adolescenza, con la grande presunzione che si ha a quell’età di essere onnipotenti e di cambiare il mondo. Ma la convinzione che io in prima persona, nelle cose che faccio, posso cambiare qualcosa, mi è rimasta. Questo si contrappone all’ideologia cattolica, per la quale è importante l’aldilà: beati i poveri, beati gli ultimi, perché avranno la vita eterna, dato che non possono avere quella terrena. Invece il comunismo era una
possibilità concreta di gettare i semi per cambiare qua su questa terra. – Anche tu parli al assato. – A questo io non ho rinunciato: se tutti i giorni, con altre e altri, rifletto su quello che succede e
cerco di cambiarlo, qualcosa cambierà. – Io da piccola del comunismo avevo l’idea che avevano i preti, perché vengo da una famiglia borghese cattolica del Sud. Poi mi sono documentata, ho letto e ho sempre sognato: non potevo avere appartenenze politiche esplicite, perché vivevo in una città di provincia. Quando mi sono liberata da queste pastoie, il comunismo non c’era piú. Sono molto sgomenta, perché, secondo me, il comunismo non è mai stato attuato. – Io, invece, vengo da un’esperienza cattolica attiva, anche nel sociale. Nel ’68 insegnavo la dottrina (cattolica) agli adolescenti e mi dicevo: loro sono in piazza
per la libertà, io sono qua, a cosa serve? La scelta comunista l’ho fatta poco dopo, insieme ad altri; eravamo un gruppo per la pace che lavorava all’interno della comunità parrocchiale. – Avevo una nonna che secondo me era comunista: andava a messa come tutti ma votava il sindaco comunista. Era un marchio per la nostra famiglia; quando il sacerdote diceva che chi ha questi ideali va all’inferno, io pensavo “povera la mia nonna”. A un certo punto ho deciso di non andare più in chiesa. Essere libera di ragionare con la mia testa mi sembrava una cosa giusta. Al comunismo sono arrivata per essermi trovata bene in un gruppo. Avevamo letto il libro di Marx. Siccome lavoravo in fabbrica, a me sembrava una cosa bellissima che ci fosse qualcuno che prendesse le parti di chi lavora in fabbrica, di chi è sfruttato. E’ stato il primo passo che ho fatto.
Adesso
– Non ho mai sentito il senso di perdita per il crollo dei paesi e dei partiti comunisti, perché nel mio lavoro lo ho il luogo dove quell’idea di comunismo esiste ancora, dove io la incarno. Anche quando siamo passate dall’autogestione anarcoide a quella di adesso, dove si riconoscono i ruoli, le responsabilità e le autorità, sento che è una rielaborazione, non una rottura. Cioè, il nostro lavoro è proprio il modo nel quale esprimersi il piú compiutamente possibile, è creare le condizioni perché questo sia possibile. Non dico la cooperazione in genere, ma questa cooperazione. – Alle donne che lavorano nella nostra associazione, cosí come alle persone che vengono a contatto con noi, cerchiamo di dare una qualità diversa della vita, diversa rispetto all’edonismo e al rampantismo di questa società, anche se devo dire che, in fondo, sono piena di contraddizioni per la mia appartenenza borghese. – Per esempio? – Per esempio, mi piacciono cose belle che ritengo superflue, come i gioielli, e cerco di averle. – I valori del comunismo io li trovo tutti nell’autogestione della cooperativa, fatta da un gruppo, alla pari. – L’uguaglianza a me ha creato problemi nella mia posizione di presidente della cooperativa: ho delle responsabilità diverse dalle mie colleghe di lavoro, non siamo alla pari, non dico come persone ma in quanto ruolo. – Io non vivo male il mio ruolo di presidente, anzi. Sento che mi sono forgiata, nella cooperativa, un metodo di lavoro e di assunzione di responsabilità per cui vivo bene la dimensione dell’ascolto e della tolleranza, che sento fondanti l’ispirazione comunista: saper vedere in ogni cosa, in ogni espressione di una persona, di una realtà, di un gruppo, di un progetto, qualcosa di significativo, e saperlo cogliere con il mio ruolo, farlo emergere. E quindi metterci del mio, della autorevolezza mia, dell’autorità mia, perché prenda corpo.
E la politica delle donne?
– Sento un’assonanza tra comunismo e femminismo dell’emancipazione, nel dire: togliamo gli ostacoli sociali, economici per avere piú opportunità. Mentre, il discorso della differenza, è un’evoluzione piú mia, piú intima, assieme ad altre, e faccio fatica a legare la differenza al comunismo, se non come un terreno favorevole. C’è somiglianza, invece, con quello che io vorrei salvare del comunismo, nel senso che anche dalla politica delle donne mi aspetto che qui e ora si realizzino cose che mi consentano di esprimermi totalmente. Non c’è unità in me, mi sento come su due livelli diversi, che a volte si confliggono: uno più profondo, piú alle radici, l’altro che sta piú sull’esterno. – Solo una certa politica delle donne – per esempio, questa politica – può salvare qualcosa che va salvato del comunismo. Il di piú di questa politica femminile (la Libreria delle donne, in relazione con noi della Mag e le cooperative, ecc.) è capace di non lasciare che tutto precipiti nelle tombe e nelle catacombe, ma di rimettere in circolo quell’esperienza. La scissione che dici di avere, la ricomponiamo noi, come soggetto e come relazione. – Il pensiero della differenza ha aperto una finestra nuova nella mia vita e lo ìdentifico fortemente con quella voglia di cambiare la vita su questa terra, che dicevo prima. Ma non sento altro rapporto tra comunismo e pensiero della differenza. Questo non è apparmaggio dei comunismo, anzi! La rigidità di un’ideologia ha molto ostacolato il pensiero della differenza, e altri: le innovazioni a livello di pensiero e di prassì, non ho mai sentito che nascano all’intemo di organizzazioni politiche.