Lo sciopero inglese che fece scoprire gli stranieri
Si fermarono per due anni, ma la loro lotta venne sconfitta. Erano lavoratrici asiatiche, dipendenti di un’azienda di sviluppo fotografico a nord di Londra, che per la prima volta osavano opporsi al padrone
Orsola Casagrande
Arthur Scargill, Billy Jenkins, Tyrone O’Sullivan, Anne Jones, Jayaben Desai. Sono nomi (e ce ne sono molti altri) che evocano battaglie epiche. Nomi di lavoratori e sindacalisti che in Gran Bretagna tutti conoscono. Al pari di Lady D o Al Fayet, il padrone dei magazzini Harrods. Sono nomi di minatori, di portuali, di «picchetti», di stampatori, di lavoratrici del tessile, metalmeccanici.
Le categorie sindacali britanniche, riunite nel Tuc (Trade Union Congress), non sono state sempre attente alla memoria. Ci hanno però pensato i lavoratori e le lavoratrici stesse a mantenere vivo il ricordo di lotte davvero epiche, com’è stata quella del grande sciopero dei minatori del 1984-85, o quella dei dockers di Liverpool del 1995-97, o quella dei tipografi che seguì quella dei miners nel 1986. Ci sono poi lotte meno conosciute ma altrettanto epiche che grazie ai loro protagonisti e a sezioni sindacali particolarmente attente continuano a rimanere ben stampate nella memoria.
Luglio 1976
Una di queste lotte è quella di Grunwick. Due anni di scioperi e picchetti, dal luglio 1976 all’estate del 1978, in una vertenza che per la prima volta fece emergere dal buio i lavoratori migranti. Anzi, in questo caso le lavoratrici, visto che nella fabbrica di sviluppo fotografico di Willesden (nord est di Londra) lavoravano soprattutto donne, per lo più di origini asiatiche.
L’estate del 1976 è ricordata come particolarmente calda. Grunwick aveva due stabilimenti, uno in Chapter Road e uno in Cobbold Road. Il sindacato nella fabbrica era soltanto un miraggio. I dipendenti, quasi tutte donne di origine asiatica o east africana. Le condizioni di lavoro erano terribili, soprattutto nel dipartimento ordini postali (le foto sviluppate venivano spedite via posta ad un ritmo frenetico). Le donne venivano pagate salari diversi, a seconda della loro mansione, e non solo. Le lavoratrici bianche infatti erano pagate molto di più di quelle non bianche. Lo straordinario era obbligatorio e veniva imposto senza ampi preavvisi. Lo stipendio più basso era di 28 sterline per una settimana di quaranta ore. La media nazionale era di 72 sterline la settimana. I licenziamenti erano selvaggi e il turn over annuale del 100%. Quattro giovani lavoratori avevano cominciato a discutere della necessità di far entrare il sindacato in fabbrica, specie nel dipartimento ordini postali. Come forma di protesta cominciarono a lavorare a ritmi molto lenti. La risposta dei padroni non si fece attendere: un lavoratore venne licenziato. Gli altri tre proclamarono uno sciopero spontaneo in solidarietà con il compagno. L’estate si faceva sempre più calda e non solo per la crescente temperatura.
Quando i capi dissero a Jayaben Desai che doveva fare dell’altro straordinario, la donna protestò dicendo al suo capo che gestiva l’azienda come uno zoo e non come un posto di lavoro. In una frase che diventò un po’ lo slogan della vertenza, Jayaben disse che lei in quello zoo non era una scimmietta obbediente, ma una leonessa.
Madre e figlio
La donna e il figlio Sunil si unirono alla protesta dei quattro dipendenti contro il licenziamento di qualche giorno prima. Cominciarono a presidiare i cancelli della fabbrica. Chiesero aiuto e consiglio alle unions e tornarono ai cancelli con poster scritti a mano e con una petizione con cui chiedevano il riconoscimento del sindacato. La protesta si propagò all’interno della fabbrica in un attimo e nel giro di una settimana 137 dipendenti su 480 erano in sciopero. La maggioranza donne di origini asiatiche. Molte si iscrissero al sindacato Apex. La lotta che seguì fu dura e anche violenta. Oggi, trent’anni dopo quei picchetti le cui foto fecero il giro del paese conquistando la solidarietà di tantissimi lavoratori di altre categorie, quello sciopero saranno commemorati in grande stile. Ci sarà Jayaben Desai, naturalmente, leader indiscussa e carismatica di quella vertenza. Nata a Gujarat, in India, Desai ha vissuto prima in Tanzania e poi nel 1969 è arrivata in Gran Bretagna. In una lunga video intervista questa donna minuta ma determinata ricorda le emozioni di quella lotta. “E’ stato incredibile. Avevo le lacrime agli occhi davanti a quelle donne in lotta. La polizia le caricava con i cavalli e loro rimanevano immobili davanti ai cancelli”. La vertenza fu durissima. I picchetti quotidianamente bastonati dalla polizia. “Nei giorni più tesi della lotta – ricorda Desai – c’erano anche 20mila persone al picchetto”. Un giorno, nel novembre del 1977 c’erano ottomila persone davanti ai cancelli. “Quel giorno – ricorda Desai – 243 persone furono ferite assai gravemente, 12 si ritrovarono con il naso rotto e 113 vennero arrestate”. Anche Desai, divenuta portavoce delle lavoratrici in lotta, fu arrestata (l’accusa era di aver assalito un poliziotto) ma venne rilasciata subito per insufficienza di prove.
Come spesso è accaduto nelle lotte dei lavoratori britannici, i vertici sindacali non avevano dato il loro appoggio alle donne di Grunwick. E’ accaduto lo stesso con i minatori, e anche con i portuali di Liverpool, anni dopo. Ma la lotta di Grunwick aveva anche un altro connotato. Era guidata da lavoratori migranti e donne. Le discriminazioni di cui parlavano queste lavoratrici erano sì legate al loro sesso ma anche al colore della loro pelle, come non si stancarono mai di denunciare. Le unions avevano avuto fino al ’76 una pessima nomea: raramente, infatti, avevano appoggiato scioperi dei lavoratori non bianchi contro lo sfruttamento razzista di tanti datori di lavoro. Ma quello era l’anno in cui il governo Labour (premier James Callaghan) si stava apprestando a varare una nuova legge sulle relazioni tra le razze e questo convinse le unions (molto in ritardo va detto) ad appoggiare, seppur con riluttanza, la lotta di Grunwick. Naturalmente lo fecero tentando di sminuire la valenza razziale di quella lotta. E quando il comitato per lo sciopero chiese al Tuc di boicottare alcuni servizi esterni essenziali per il funzionamento di Grunwick, questo rifiutò e per disperazione Desai e altri tre lavoratrici cominciarono uno sciopero della fame. La Apex, spinta dai vertici del Tuc arrivò perfino a sospendere le lavoratrici che si erano iscritte durante la vertenza.
Le licenziate
La lotta durò ancora diversi mesi, nonostante al padrone si fosse aggiunto anche il sindacato come nemico, e fu dichiarata conclusa il 14 luglio 1978. Fu una sconfitta: le lavoratrici licenziate non vennero reintegrate e il sindacato non fu riconosciuto dal datore di lavoro. Ironicamente i salari, durante i due anni di sciopero, aumentarono del 25%.
Trent’anni dopo quella dura vertenza suscita ancora aspre discussioni. E non potrebbe essere altrimenti. Accade lo stesso quando si parla dello sciopero dei minatori del 1984 o di quello dei portuali. Il ruolo del sindacato, dei vertici sindacali, è stato per molti lavoratori decisivo nella sconfitta di quelle lotte. La solidarietà dei lavoratori invece non mancò mai alle donne di Grunwick. Spontaneamente (il sindacato infatti non li sostenne) molti lavoratori dei servizi postali organizzarono il boicottaggio degli ordini destinati alla fabbrica. Lavoratori di altre categorie andarono a dare man forte alle donne nei picchetti davanti ai cancelli. C’erano metalmeccanici, minatori, dipendenti delle poste. Che furono arrestati, fermati, denunciati. Il governo annunciò una inchiesta pubblica sulla vertenza che ormai era diventata un caso politico. Nonostante l’inchiesta stabilisse che i lavoratori erano giustifcati nella loro azione di lotta non fece nulla per imporre, o anche solo suggerire, cambiamenti alla direzione di Grunwick. Le conseguenze furono disastrose per il Labour e per il movimento sindacale: un anno dopo la fine della vertenza alla Grunwick sarebbe salita al potere Margaret Thatcher che avrebbe dato il colpo di grazia alle già deboli e divise unions. Ovviamente la Lady di Ferro incontrò molta resistenza nella sua guerra contro i lavoratori, a partire dai minatori. Ancora oggi comunque il new Labour non ha del tutto eliminato le legge antisindacali varate dai governi Tories che l’hanno preceduto.
Per discutere di questo e ricordare la lotta di Grunwick trent’anni fa, il sindacato organizza al Tricycle Theatre domenica 17 settembre una serie di eventi. Sarà un’occasione per riascoltare non solo Jayaben Desai, ma anche Arthur Scargill, il leader dei minatori che la signora Thatcher proclamò, assieme ai suoi energici miners ‘public enemy number One’. Ci sarà anche l’allora leader del Tuc, Jack Dromey e molte delle lavoratrici protagoniste di quella lunga lotta. Ci saranno mostre e filmati dell’epoca. Il tutto in uno dei luoghi, il teatro Tricyle nel quartiere londinese di Kilburn, più interessanti e ‘militanti’ di Londra.