di Luisa Pogliana
Non sono impazzita per parlare di segnali positivi in una situazione così grave, soprattutto per le donne. Ma succede che nonostante l’indebolimento della presenza femminile nel lavoro – causa covid – le donne non arretrano nella consapevolezza e nell’agire.
C’è un ampio gruppo di manager che si incontrano su una proposta di Donnesenzaguscio (fare ‘Un passo in alto’, ovvero più donne ai vertici delle aziende per cambiare la natura del potere). Questo confronto politico, questo ragionare insieme permette di vedere quanto di positivo viene proprio dalle donne.
Ci sono evidenze anche nel nuovo governo italiano. Al di là di ogni valutazione in merito, alcuni indirizzi del programma toccano le questioni su cui ci battiamo: «…abbiamo uno dei peggiori gap salariali tra generi […] una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. […] bisogna garantire parità di condizioni […] un sistema di welfare per superare la scelta tra famiglia o lavoro […]». Certo non ci aspettiamo che arrivino da lì politiche e leggi che risolvano tutto questo.
Però è la prima volta che questi obiettivi entrano nel programma di un governo.
È un risultato del nostro impegno di donne contro queste vertiginose discriminazioni. Se noi non avessimo parlato e agito costantemente questo non sarebbe successo, non se ne parlerebbe oggi così tanto: abbiamo reso il problema visibile e non più evitabile. Non sottovalutiamo mai l’importanza di quello che facciamo.
Per il resto, sta sempre a noi continuare ad aprirci spazi in queste direzioni.
Sappiamo che le condizioni di lavoro eque si creano se cambia la cultura di chi in azienda decide le politiche – il vertice, appunto -, fatto quasi solo da uomini che continuano a riprodurre una cultura misogina: per questo occorre che in quei ruoli entrino donne con una visione diversa.
Sappiamo anche che per cambiare la squilibrata gestione domestica non basta il welfare, serve una forte battaglia culturale, in casa e in azienda. Bisogna far crescere tra le donne la consapevolezza che è necessario e possibile negoziare con il proprio compagno sulla condivisione di queste incombenze, nella convinzione che non si mette in gioco la relazione affettiva, e gli uomini possono essere ricettivi più di quanto pensiamo. Siamo anche consapevoli che questi comportamenti che avvengono nel privato sono l’altra faccia di ciò che avviene in azienda, dato che nelle culture delle organizzazioni prevale ancora una concezione maschile del lavoro, del tempo, della separazione dal resto della vita: anche lì bisogna affrontare questo problema.
Ci aiuta dunque vedere che ci sono donne che stanno già facendo succedere cose positive nelle aziende.
Le manager che hanno assunto ruoli decisionali alti senza schiacciarsi sul modello maschile hanno per questo un effetto trainante. Altre donne riconoscono la loro autorità, si sentono più sicure di poter assumere a loro volta ruoli di responsabilità. Perché vedono un modo di essere manager, esercitare il potere insito nel ruolo diverso da quello – respingente per molte – trasmesso dagli uomini. L’effetto traino non è stato programmato, è diventato uno sviluppo ‘naturale’.
Le manager di livello alto, in più, vedono le potenzialità delle giovani, le promuovono, e le sostengono. Controbilanciando il fatto che quando entrano in ruoli di middle management sono facilmente attaccate ‘dal basso’. È importante questo rafforzarle nella certezza di essere all’altezza del ruolo: l’attacco è rivolto alle donne che vanno più avanti, non alla loro professionalità. Insomma, queste relazioni tra donne sono preziose: sviluppano una capacità di cambiamento imprevedibile.
Altre manager mettono in atto strumenti organizzativi con vincoli tesi a tagliare le discriminazioni. Per esempio, manager alla direzione del personale – cercando l’alleanza con manager maschi influenti – pongono l’obiettivo aziendale di raggiungere un’equa distribuzione uomini-donne in tutti i livelli dell’organizzazione, e in particolare nelle strutture dove si decide. Questo obiettivo diventa parte degli indicatori con i quali i dirigenti vengono premiati a fine anno. Non basta però solo un meccanismo automatico. È essenziale il coinvolgimento consapevole delle donne: si mettono in campo quindi attività di coaching in modo che le donne possano esprimere e far conoscere le loro aspettative, e superare eventuali resistenze alla propria ambizione (motivate spesso da un contesto famigliare che inibisce questo desiderio). Più in generale, si fa un continuo lavoro sulla cultura. Perché contiene atteggiamenti così radicati che gli uomini non si rendono conto di come si traducano in atti discriminatori: si interviene perciò sui criteri con cui si scelgono le persone, anche nei progetti strategici, e nel processo di promozione a quadri e a dirigenti. Si fa ripulitura dei linguaggi nei documenti aziendali che usano solo il genere maschile (anche con impliciti pregiudizi e stereotipi).
La determinazione femminile a non arretrare e anzi ad andare avanti fa sì che per reazione la misoginia si diffonda nella vita quotidiana di lavoro. Questo ci irrita, ci ostacola, ci ferisce. Ma è un buon segno: è un tentativo di rivalsa, è l’ammissione del fatto che non riescono a fermare le donne. E non è un flagello biblico inevitabile. Questa misoginia quotidiana, a volte subdola, può essere contrastata. Cominciando dal saperla riconoscere. Dice una di noi: «Non parliamo di grandi problemi come il paygap ecc. Sono piccole pratiche quotidiane, che colpiscono tutte, ma abbiamo il potere di contrastarle con alcune piccole, costanti e coraggiose mosse di kung-fu». Ci sono vari strumenti con i quali possiamo arricchirci nella capacità di bloccare il maschilismo tossico: li possiamo imparare, trasmetterceli. Anche su questo continuiamo a lavorare.
I segnali positivi non sono frutto di un ottuso ottimismo, sono reali, sono contagiosi, e vengono dalle donne.
Per chi vuole stare in contatto con noi: www.donnesenzaguscio.it
(www.libreriadelledonne.it, 25 marzo 2021)