Giulia Siviero
Flaubert non era Madame Bovary. “E tutto sommato non è una cosa che si può fingere di ignorare. Anche con tutta la buona volontà”.
Lei, Christa Wolf, intellettuale contemporanea che ha sperimentato “sulla pelle” la vicenda della Germania nel dopoguerra, non ha potuto fare a meno di sorridere: “dell’ira di Achille, del conflitto di Amleto, delle false alternative di Faust”. La sua parola, viva, sovversiva, “non curante”, non ha creato storie di eroi né di anti-eroi. Ma ha restituito voce e sangue alle “donne selvagge”. Donne a cui, superando il tempo e lo spazio, ha teso una mano: per sottrarle all’immobilità, per (ri)scriverne la storia, per restituire loro una nascita più autentica e, in fondo, l’unica possibile: la nascita da una madre. Lei che non ha mai rinunciato a uno scrivere in prima persona e a mettere nell’arte la donna che è, lei, Christa Wolf, è Cassandra, profetessa inascoltata durante la guerra fredda, lei, Christa Wolf, è Medea, vittima e capro espiatorio dell’ex Ddr. Comprendere un percorso in cui vita, scrittura e impegno politico si legano, significa mettersi all’ascolto delle figure “differenti” che (ri)prendono vita nei suoi scomodi romanzi. Ma significa anche fare i conti con la ricerca di un’estetica e di un linguaggio che, Con uno sguardo diverso (edizioni e/o, pp. 153, € 15,00), si pongono altrove rispetto alla “gelidità” del pensiero maschile. Gli otto racconti che danno corpo alla raccolta, scritti tra il 1992 e il 2004, divengono il luogo di una scrittura che sconvolge i canoni della letteratura (maschile): “Egli non ha occasione di mettersi alla prova realmente e praticamente. – scrive Christa Wolf – Le rarefatte regioni in cui lui, i suoi seguaci si ritirano pieni di paura del contatto, a pensare, a poetare, sì, sono gelide”. L’estetica occidentale, a partire dall’Iliade, intreccia storie di eroi: ogni azione quotidiana è assente e la guerra, anche a livello simbolico, distrugge la vita minuta. Tra il bucato e il giardinaggio, vivendo e poi scrivendo (non viceversa) si anima, invece, lo sguardo di Christa Wolf: sull’infanzia, sulla lingua materna, sui frammenti della storia. Il dire sfugge alle gabbie teoriche della definizione e dell’interpretazione e rimane in grado di “toccare”, di mantenere un legame con il fare, con la vita che lo ha avviato. La scrittura, a tratti, dice se stessa e nella trama fluida che, come un fiume carsico, si immerge e ricompare, le parole stanno una accanto all’altra, senza il respiro di un punto, senza la pretesa di sostituirsi alle cose. Trovando, infine, il proprio senso nell’associazione imprevista. In queste pieghe, si ritrovano la veggenza di Cassandra o la seconda vista di Medea. Il loro coraggio di guardare le reali condizioni del presente, di conservare un’integrità, un sapere altro, un’umanità, che le ha rese dissonanti rispetto al potere, incapaci di stare completamente in un tempo e in un luogo. Ecco perché la profetessa “sovraccaricata dal dono della veggenza” diceva di essere cieca. Ecco perché ciò che Christa Wolf ci dona è uno sguardo diverso.