17 Ottobre 2013
la Repubblica

Due Blu

di Elena Stancanelli

 

«Amore mio, quando leggerai queste parole avrò già lasciato questo mondo». Se parlassimo di un romanzo, lo chiameremmo incipit. E una frase così, con tutta la sua spudoratezza sentimentale, ci costringerebbero subito a prendere una decisione. Reggeremmo, daremmo all’ autore una chancee leggeremmo la sua storia, se si fosse presentato a noi con una frase del genere? Ma Il blu è un colore caldo, opera prima di Julie Maroh, non è un romanzo, non è soltanto un romanzo. È una storia raccontata per parole e immagini. Un fumetto, una graphic novel, una forma bastarda che ha un passato brevissimo. Una forma fanciulla dunque, ancora barbarica e innocente. Che per questa sua fanciullezza può permettersi spudoratezze impensabili in altri luoghi, e grazie alla sua bastardaggine, l’ originale incontro di testo e immagini, agisce con una doppia seduzione. Le prime tavole, quelle sopra le quali scorre la frase «amore mio, quando leggerai queste parole avrò già lasciato questo mondo», sono a colori. C’ è una città, una ragazza triste, pioggia, alberi spogli. La ragazza scende da un autobus, entra in una casa, incontra una donna che le consegna una lettera. Che inizia con la frase «amore mio, quando leggerai queste parole avrò già lasciato questo mondo». Questa dunque, è una storia che inizia dalla fine. Tutto è già accaduto, quando Emma entra nella casa natale di Clémentine, e si chiude nella sua stanza per leggere i suoi diari. E il centro di questa storia non è esattamente al centro, ma verso il fondo, subito prima del precipizio. In una scena che dovrebbe essere fatta di urla e concitazione, e invece si svolge tutta in silenzio, come un sogno. È una scena che occupa quattro pagine e due piani, su e giù per una scala. Al buio, nella casa di Clémentine. Quando il padre sorprende Emma nuda, e capisce che le due ragazze non sono amiche, ma amanti. E tutto il mondo che era, coi suoi segreti, si dissolve, mentre le ragazze vengono cacciate e inizia una vita nuova. Questa vita nuova, la vita adulta, Julie Maroh, la racconta a colori. Questa storia che inizia dalla fine, e ha il suo centro molto più avanti di quanto ti aspetteresti, è dunque un cerchio, all’ interno del quale è nascosta la vecchia esistenza di Clémentine. Malinconica e incomprensibile, disegnata soltanto in marrone, nera seppia. Clémentine è un’ adolescente normalmente infelice, con una famiglia normalmente greve (per esprimere la grevità del padre, l’ autrice gli fa cucinare pentolatee pentolate di spaghetti col sugo, particolare sul quale sarà il caso di non soffermarsi). È carina, piace ai maschi, ha molte amiche. Ma quel marrone, quel nero, la opprimono. Un giorno, mentre attraversa una piazza, incrocia una ragazza con i capelli blu. La notte successiva a questo incontro casuale, fa un sogno. Che le mani di lei, della ragazza coi capelli blu, la accarezzino, tingendo piano piano di blu tutta la sua vita. Da quel blu, come da una sorgente edenica della pittura, si generano tutti gli altri colori. La storia raccontata da Julie Maroh non ha un punto di equilibrio, non si ferma mai. Non trova mai un tempo della soddisfazione, del semplice andare delle cose. Precipita di continuo da un lato o dall’ altro. C’ è solo un istante ed è quello che precede la scena delle scale. Mentre Clémentine ed Emma fanno l’ amore nella stanzetta dove lei è cresciuta, nel letto piccolo dove è stata bambina l’ una placando il desiderio dentro il corpo dell’ altra. Il resto del tempo si tratta di combattere nemici, genitori, ex fidanzate, amiche rabbiose. E subito dopo, quando inizia la vita e le due ragazze vanno a vivere insieme, fare fronte alla frustrazione, il tradimento, la malattia. Il blu è un colore caldo è una storia d’ amore tra due donne, e non elude la battaglia contro i pregiudizi. Sembra quasi che l’ autrice ritenga il racconto delle difficoltà, più importante della storia d’ amore in sé. E per questo costruisce un contesto anche politico, l’ elezione di Sarkozy, le manifestazioni contro il piano Juppè che bloccarono Parigi per tre settimane. Capisco bene l’ irritazione che deve aver provato Julie Maroh nel vedere il bellissimo film che Abdellatif Kechiche, La vita di Adele, Palma d’ oro al Festival di Cannes, ha tratto dal suo fumetto. Perché il regista ha scelto la strada opposta. Piuttosto che pensare la diversità. ha preteso la normalità. Ha immaginato la protagonista, Clémentine, diventata Adele (dal nome della meravigliosa attrice che la interpreta), come una ragazza che diventa donna con l’ ambizione più semplice del mondo: essere maestra d’ asilo. L’ ha fatta vestire come mille altre ragazze, le ha dato una famiglia normale. Le ha condonato la malattia, e ha fatto persino sparire la precedente fidanzata di Emma per non crearle nessun casino. Abdellatif Kechiche ha spianato la strada a una storia d’ amore tra due donne che non combattono contro un mondo ostile, ma contro la loro confusione, le debolezze, le tentazioni che si portano dentro. Come facciamo tutti, ogni giorno. E in questo modo fa un film che spezza il cuore, con due protagoniste indimenticabili. Dove c’ è sesso, certo, ma il vero scandalo, per gli appassionati del turbamento, è tutto quell’ amore

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