di Marina Montesano
Itinerari critici intorno al libro «Arsenico e altri veleni» di Beatrice Del Bo, per Il Mulino.
L’accusa di avvelenamento, in particolare se rivolta a donne, è stata spesso intrecciata con quella di maleficio e pratiche magiche, creando una sovrapposizione che ha radici profonde. In tale contesto, il concetto di maleficio, inteso come l’uso di magia o poteri soprannaturali per fare del male, si confonde con quello di veneficio. Il legame tra genere femminile e uso di sostanze tossiche affonda le sue radici nel mondo antico, trovando espressioni emblematiche già nel mondo romano. Uno degli episodi più noti di questo fenomeno è il processo del 331 a.C., in cui, secondo Tito Livio, ben centosettanta matrone romane furono accusate di aver avvelenato i propri mariti.
Da qui possiamo tracciare una linea che attraversa i secoli fino al famigerato «Affare dei Veleni» che scosse la corte di Luigi XIV in Francia nel XVII secolo. La figura dell’avvelenatrice divenne sempre più comune, soprattutto a partire dal XII secolo, quando si verificò un forte revival della cultura classica.
Fu in questo periodo che la letteratura medievale iniziò a rappresentare le donne come figure potenti e pericolose, in grado di manipolare la magia e creare veleni letali. Il Roman d’Enéas, scritto attorno al 1160 e ispirato all’Eneide di Virgilio, introduce una maga ispirata a figure classiche come Medea, la famosa maga della mitologia greca che aveva ucciso i propri figli e utilizzato veleni nelle sue vendette.
In altre opere medievali, come il Cligès di Chrétien de Troyes o Amadas et Ydoine, appaiono donne dotate di straordinarie capacità magiche, esperte nell’arte di creare pozioni, spesso per curare o danneggiare a seconda del contesto. In questi testi, le maghe possiedono abilità che spaziano dalla guarigione di malattie come l’idropisia e la gotta, fino al controllo degli elementi e al potere di manipolare i sogni degli uomini. La figura di Isotta, nell’epopea di Tristano e Isotta, è particolarmente rilevante per capire come lo stereotipo dell’avvelenatrice venisse legato alla donna non solo per il suo potere magico, ma anche per la sua “alterità” culturale e geografica. Isotta, figlia della selvaggia Irlanda, viene vista come una nuova Medea, una “barbara venefica” le cui conoscenze sui veleni alimentano lo stereotipo della donna pericolosa, in grado di controllare la vita e la morte attraverso le sue pozioni.
Fuori dall’ambito letterario, la realtà storica mostra un quadro più complesso, come spiega il bel libro di Beatrice Del Bo, Arsenico e altri veleni. Una storia letale nel Medioevo (il Mulino, pp. 302, ill.17, euro17). Organizzato in una serie di brevi paragrafi tematici, scritto con uno stile narrativo vivace, il volume si legge con estremo piacere, ma è evidentemente frutto di accurate ricerche che consentono di presentare un quadro molto ampio. Come scrive Del Bo nell’introduzione: «Da un lato, sarà come visitare un museo del veleno, allestito con libri, immagini, erbe, fiori, funghi, animali medicine e minerali, e, dall’altro, sarà come leggere una silloge di racconti a sfondo noir, con la differenza che i protagonisti sono persone realmente vissute, e morte, secoli e secoli fa».
Le accuse di avvelenamento rivolte alle donne, soprattutto quelle di potere, erano spesso legate a contesti di crisi politica o dinamiche di lotte interne alle corti: come nel caso dei Visconti, sui quali l’autrice si sofferma. Ma se il genere colonizza l’immaginario in rapporto ai veleni, essi non sono certo uno strumento soltanto femminile e tantomeno sono soltanto appannaggio delle corti.
Gli ambienti mercantili non sono da meno, e anzi Arsenico e altri veleni parte proprio da lì, dalle spezierie, come quella gestita dalla famiglia Turconi a Verona durante la prima metà del XV secolo, i cui beni sono attestati da un inventario redatto nel 1438. Del Bo ne traccia una vera e propria storia culturale: partendo dalle botteghe dove si producono, ci parla di erbe e piante altamente tossiche, e poi degli animali, come i rospi e le tarantole, ma con una varietà inattesa. Ci sono poi i controveleni, ossia i rimedi per gli avvelenamenti, nonché una serie di casi divertenti (per chi non è coinvolto…) attestati dalle fonti: dai tortellini ai fichi, la minaccia può celarsi dove meno te l’aspetti.
(il manifesto, 24 ottobre 2024)