Antonella Fiori
Il mondo salvato dalle donne? Forse. Almeno da quelle che non si sottomettono e, pur pagando prezzi altissimi, fanno saltare un sistema di potere che si regge proprio sul loro annientamento: fisico e psicologico. Silvana La Spina, catanese trapiantata a Milano, accantona la ricchezza barocca della sua scrittura (da L’amante del Paradiso a La creata Antonia) per narrare con una veemenza che sa di urgenza la storia dello “sbirro femmina”: Maria Laura, ispettrice di polizia, ex alcolista, ex moglie sadizzata con figlio in coma all’ospedale dopo un incidente, che deve scoprire cosa sta dietro l’omicidio di un prete accusato di pedofilia a Catania. Una storia che potrebbe avere un seguito e che in questo primo episodio fila via veloce raccontando la “rise and fall”, la caduta e risalita di una donna che, mentre scopre i motivi di un delitto, svela il volto di una città retta da un sistema medievale dove l’alfa e l’omega della violenza sono i rapporti tra uomo e donna. Chi è lo sbirro femmina? Una donna che guarda, osserva e quindi giudica, in una società dove le donne non devono guardare e osservare. E dove domina il detto: comandare è meglio di fottere. Il marito di Maria Laura, ma anche altri uomini che lei descrive, dietro la galanteria disprezzano le donne. Quanto c’è di reale, oggi? Tutto. In certi quartieri la vita è quella. Come accade nel romanzo, l’incesto non si deve sapere. L’impotenza è una vergogna. Catania, dominata da arabi e spagnoli, è la città sessuata per eccellenza. C’è il tema del macho e specularmente la paura del fallimento raccontata benissimo da Brancati nel Bell’Antonio. Il prete che viene ucciso è accusato di essere “iarruso”, un pedofilo che va coi ragazzini. L’omosessualità è l’altra ossessione. Il maschio ha il problema di sapere fino a che punto è maschio. E come può saperlo? Solo violentando le donne. L’impianto del romanzo è sull'”inaudito” disamore di una femmina che si emancipa dal marito che l’ha umiliata e tradita… Il disamore a cui approda Maria Laura è una presa d’atto che la fa diventare adulta e libera. Anche se questo vuol dire restare soli. Il giallo è un pretesto. Nel suo caso per raccontare un potere mafioso tutt’uno con quello maschile. E la responsabilità delle donne? Si dice che Catania sia nata come bordello. Una città con donne schiave, distrutta dalla prepotenza che loro stesse alimentano. Il problema delle donne, non solo in Sicilia, è che vogliono sentirsi vive. Vogliono la loro soap opera personale e sono disposte a subire tutto. Il figlio di Maria Laura e il rampollo della famiglia mafiosa, che nel libro sono amici e vittime, lasciano intravedere una speranza? Almeno nel romanzo volevo aprire uno spiraglio. In realtà l’unica soluzione per farcela, e lo dice una che l’ha fatto, è andarsene via.
Silvana La Spina, Uno sbirro femmina, Mondadori, 16,50 euro, esce il 2 maggio