Laura Colombo
Il libro di Daniela Padoan Le pazze. Un incontro con le Madri di Piazza de Mayo (Milano, Bompiani 2005), che recentemente ha ricevuto il premio letterario “Nino Martoglio”, è un racconto a più voci, dove l’autrice opera un paziente lavoro di tessitura della storia di un gruppo di donne straordinarie, basandosi su una serie di testimonianze che lei stessa ha raccolto nel corso degli ultimi anni, durante i viaggi in Italia delle Madri e in un suo recente viaggio a Buenos Aires. La storia delle Madri si intreccia con la storia del loro paese, l’Argentina degli anni bui dei regimi militari e dei governi che formalmente si dichiaravano democratici, che Daniela Padoan tratteggia in modo preciso e circostanziato, accostando il rigore scientifico della sua ricerca storica alla viva voce delle testimonianze.
Si tratta di un libro particolare, che rompe i confini della “grande storia” mettendoci di fronte al mondo interno di queste donne, che – nella condizione di estrema necessità della dittatura e della scomparsa dei figli – si intreccia e si misura con il mondo esterno.
La polifonia, cifra caratteristica di questo libro, è giocata su diversi livelli.
Il primo è la viva trama di relazioni tra l’autrice e le Madri nella zona apparentemente neutra dell’intervista, dove due voci differenti dialogano nel desiderio di far emergere il percorso di coscienza individuale e politica delle Madri, attraverso le diverse tappe in si ricostruisce l’affiorare della loro lotta sempre più dirompente. Il fitto scambio tra l’autrice e le Madri alla ricerca di “parole che contengono verità”, l’incalzare delle domande per andare a fondo sulla loro concezione della politica e sulle loro pratiche, diventa così il tramite, il luogo privilegiato della comunicazione, reso tale dalla scelta di Daniela Padoan di esserci fino in fondo nella relazione con loro. L’autrice sceglie di stare dalla parte delle Madri, senza tuttavia tesserne aprioristicamente le lodi. Tratteggia con maestria il quadro di quello che possiamo definire un vero e proprio laboratorio politico lasciando parlare la progettualità delle Madri, evidenziando in che modo la loro rappresentazione del possibile e del desiderio ha fatto germogliare semi di libertà nel cuore della necessità più cruda.
I frammenti intimi che vengono così recuperati, le riflessioni che le Madri riescono a porre con capacità e profondità, sono resoconti dal basso, descrizioni dall’interno di esperienze concrete, analisi estranee al sistema interpretativo dominante: così il quadro storico si arricchisce, si illumina di una prospettiva inedita, che altro non è se non il rovesciamento e il tramonto del paradigma vittimistico. In questo modo, percorsi che potrebbero essere interpretati come inessenziali, esperienze relegate ai “margini”, spesso anche da chi ne è protagonista, paradossalmente diventano il centro della Storia, il punto prospettico da cui leggere il presente e trarre la forza per una lotta sempre rinnovata.
Il livello più manifesto della polifonia che anima il libro è però la coralità della voce delle Madri, un prodursi di voci singole e pur tendenti a costituire un’espressione collettiva, armoniosa e multiforme. Le loro parole ci rivelano una crescita interiore, una modificazione rivoluzionaria, resa possibile dalla radicalità della loro mossa politica: un’estrema contestazione dell’abuso dei militari e una tenace difesa dei valori che avevano imparato a riconoscere nella propria interiorità, dopo averli osservati nei figli. “Non ero abituata a essere autonoma, ma ci sono situazioni in cui di colpo apprendi tutto quello che il dolore ti costringe a imparare, e allora scompaiono la paura, l’inesperienza e la timidezza” . Ecco che, proprio nella situazione di grande sofferenza rappresentata dalla scomparsa dei figli, e nella fortissima contraddizione sociale imposta dal regime, si è sviluppata una coscienza che ha permesso alle Madri di mutare quella condizione avversa, pur attraversandola pienamente. Proprio questa capacità di trasformarsi ha consentito loro di affrontare in modo attivo una contraddizione a un tempo individuale e collettiva: “non gli avremmo mostrato che ci stavano facendo soffrire; gli avremmo mostrato, invece, che eravamo disposte a lottare contro tutto e contro tutti. […] all’inizio andavamo in piazza per una necessità personale, ma poco a poco abbiamo capito che la lotta individuale non aveva senso, e che lottare solo per il proprio figlio non faceva crescere niente. Diventammo un gruppo di un’ottantina di madri. Parlavamo di quello che ci era successo durante la settimana, di quello che potevamo fare, se era riapparso qualcuno, e iniziammo a sentire che la piazza ci apparteneva. […] è stato in quel nostro camminare a braccetto, una accanto all’altra, parlandoci e conoscendoci, che abbiamo costruito il nostro pensiero” .
Il lavoro politico delle Madri non ha permesso solo una loro modificazione soggettiva, ma anche la creazione di una diffusa coscienza di lotta che è stata un trampolino di lancio verso la vita e una possibile trasformazione della società, la riappropriazione di una verità, seppur dolorosa. “Fu terribile renderci conto che tutto era così perverso, ma ciò che ci diede forza era che potevamo vederlo e provarlo, anche per le altre: perché le madri che non lo vedevano con i propri occhi, non lo potevano credere […] c’erano molte madri che non vedevano, non credevano. Per questo è stato giusto uscire di casa, scoprire tante cose, rompersi la testa contro i muri, e alla fine trovare le prove per poter raccontare, per poter dire la verità, anche quando era così dolorosa” .
Le Madri hanno operato l’invenzione di pratiche politiche di lotta generatrici di libertà, capaci di rendersi evidenti, chiare, leggibili da chiunque, al di là di dichiarazioni e speculazioni. Sono pratiche che Daniela Padoan definisce di “spiazzamento”, perché nate da un’intenzionalità tendente a scostarsi dalla collocazione che l’ordine simbolico attribuisce a ciascun attore sociale: “il nostro non era coraggio, era decisione, chiarezza su quello che volevamo. Il coraggio è un’altra cosa. Per noi è essenziale agire, non solo pensare; siamo convinte di quello che facciamo e di quello che vogliamo, ed è questo a darci forza. […] Noi avevamo la nostra pazzia e i militari il loro ordine, che cercavano disperatamente di mantenere. A disarmarli, era proprio il nostro modo di scardinare quello che per loro era normale. […] Essere lì in piazza a dire al mondo e alla società argentina, così indaffarata a ignorare quello che succedeva, che non tutto era così normale come volevano farci credere” . Sono pratiche che coinvolgono appieno le Madri e immettono sulla scena pubblica la loro forza, l’originalità delle loro invenzioni. Pratiche costantemente vissute ed elaborate per far fronte di volta in volta alle differenti situazioni politiche e sociali; infatti, non solo nel momento della dittatura, ma anche nei periodi in cui era stata ripristinata la democrazia formale, le Madri si sono esposte al rischio della verità, per creare le condizioni di possibilità di un protagonismo sociale al di là della condizione di isolamento in cui il regime, con la forza, teneva gli individui, e al di là della condizione di ripiegamento su una quotidianità normalizzata e poco consapevole che la democrazia, con mezzi più ambigui, perseguiva. Perciò hanno rifiutato di accettare la dichiarazione di morte dei figli, che avrebbe messo la parola fine a un’esperienza di vita e libertà attraverso un grottesco risarcimento economico . Ed è per questo che negli ultimi anni le troviamo accanto alle lotte degli operai che occupano le fabbriche chiuse in seguito alla crisi del 2001, e, ancora, grazie alla loro sapienza nel comprendere e abitare il presente, vediamo il loro impegno nell’Università popolare delle Madri, essendo per loro centrale lo sviluppo della consapevolezza e dell’educazione.
Si tocca qui un punto che ci offre una riflessione sul presente, sul nostro esserci, sulle forme della politica. Il modo in cui le Madri abitano la loro vita e la politica, è quello della responsabilità assunta in prima persona, anche nel momento in cui sostengono altre lotte, altre pratiche. Le Madri sono accanto alle nuove forme di auto-organizzazione, alle inedite relazioni sociali nate in questi ultimi anni per arginare i disastri delle politiche neoliberiste perché ritengono necessario “creare un nuovo modo di fare politica, legato alla responsabilità che ti chiama in causa in prima persona”. Non si tratta di ripetere ciò che le Madri hanno fatto, ma di sapersi giocare ed essere in grado di inventare la propria vita e la politica in uno spazio sociale condiviso e partecipato. Questo le donne e gli uomini del movimento dei piqueteros lo sanno, ed è evidente in alcune loro testimonianze dirette.
Le pagine di questo libro distillano i fatti restituendoceli nel loro senso più puro; qui i movimenti, le idee, le emozioni, le conseguenze di un’ostinazione si mescolano, e arrivano al lettore carichi di una forza arcana e affascinante.
Daniela Padoan ci accompagna abilmente in un viaggio che, attraverso diverse fasi, ha portato le Madri a un ribaltamento (dal silenzio alla parola, dal privato alla scena pubblica, dall’annientamento del dolore a un protagonismo autentico). Un viaggio necessariamente destrutturante, che ci interroga sulla questione essenziale del senso che ha per noi la politica nella sua accezione più ampia, che comprende la vita di tutti e ciascuno.