di Liliana Rampello
«Più in là sugli scogli ricoperti di alghe che con la bassa marea sembravano animali dal pelo ispido che s’erano avvicinati all’acqua per bere, la luce del sole pareva facesse le piroette come una moneta d’argento buttata nelle diverse piccole pozze»: il mare ondeggia pigro mentre leggiamo righe di puro incanto, una scrittura che palpita tutta di una lingua lieve e precisa ad illuminare la natura di parole trasparenti.
È Katherine Mansfield, straordinaria scrittrice, la cui parabola intensa e troppo rapida ha occupato la scena del primo Novecento con l’inquietudine della sua enigmatica figura e con i suoi racconti, brevi e brevissimi, lievi e tragici, musicali e visivi, festa completa di ogni minima sensazione, di cui arriva ora in libreria una nuova raccolta, dal titolo perfetto: Pura felicità (Feltrinelli, pp. 336, euro 14). A restituire quel bliss inglese che è diverso da felicità e si fa parola di suono e colore: stringe a sé tutti i sensi, come raccontano in una loro nota Sara De Simone, che cura e introduce il libro, e Nadia Fusini che con lei traduce e ci accompagna nella lettura con un saggio che svela, in un mirabile arco, il cuore mitico e antico che questi racconti percorrono, da Freud fin dentro la modernità. Scrivere è «un’avventura dell’anima» dice KM. Ma lo è anche leggere, tradurre, commentare, e ne abbiamo prova nel lavoro appassionato e appassionante che ha legato di desideri due donne e la loro entusiasta editor, Anita Pietra, «in una fredda mattina d’autunno di due anni fa», intorno a lei, la scrittrice «nomade», quarta necessaria presenza d’amore per la scrittura del mondo, la sua rappresentazione artistica. «Tre donne intorno al cor mi son venute» ha cantato il poeta e non si può che essere felici che ora si tratti di tutte donne.
Nuove traduzioni di un classico, dunque, che non dimentica la qualità di altre traduzioni, come quella di Franca Cavagnoli, ma che ora propone nel suo indice una leggibilità che, saltando l’abituale cronologia, si dà subito come forma dell’interpretazione, guida nel labirinto affollato di «evocazioni visive» di una «incomparabile bambina», una «scrittrice eccezionalmente istintiva, fiorita» secondo Anna Banti, «una mente terribilmente ricettiva», secondo Virginia Woolf. La raccolta ora in libreria accoglie e va ben oltre queste parole, per i lunghi e diversi studi che entrambe le nostre autrici hanno alle spalle (per Fusini ricordo La figlia del sole: vita ardente di Katherine Mansfield, e Viaggio in Urewera, per De Simone la curatela di La vita della vita. Diari 1903-1923 e Nessuna come lei. Katherine Mansfield e Virginia Woolf: storia di un’amicizia) e permettono loro di presentare diversamente questa «prosa speciale», scarna e asciutta.
I racconti sono qui raggruppati in quattro sezioni, Il romanzo familiare; Amanti, amiche, sorelle; Donne sole; La vita, la morte: non «sovrastrutture tematiche» «ma tracce», che però indicano uno scenario in cui possiamo vedere meglio, o vedere differentemente. Sara De Simone nella sua introduzione ci fa conoscere l’essenziale della vita di KM, ne tratteggia un ritratto intenso, mai banale, ne disegna il coraggio nella ricerca della «vita nella vita», ci insegna a decifrare una poetica che vuole creare e non «rappresentare», fino al punto che «scrivere la cosa» sia «diventare la cosa», questo il «fremito di libertà» che KM assapora guardando i postimpressionisti, in particolare Van Gogh, e che la porterà a scrivere non del «bambino che giocava, ma la sua mano roteante nell’aria della sera», non di un albero, ma del «palpitare degli uccelli dentro la sua chioma». È con queste notazioni fra le dita che possiamo avvicinarci con più chiara consapevolezza a tutte le pagine di questi racconti, che stupiscono non per qualche effetto ricercato ma, al contrario, per quanto naturale appare, di colpo, l’inaspettato.
Nadia Fusini ci accompagna invece, con traduzione sapiente, nella lettura della prima sezione, legando tre racconti (scritti fra il 1917 e il 1922, Preludio, Alla baia e La casa delle bambole) a quel «romanzo familiare» che muove da Freud per dire della «delusione», del «trauma» che ne sono «il cuore», ma dire poi, ed è questa l’essenziale originalità trovata, di come la capacità «di stare nella lingua, di giocare con le parole, di usare la fantasia», rendono sopportabile il dolore, fino ad oltrepassarlo in creazioni meravigliose, che rielaborano la realtà in «mito». Tutto è trasformato in emozione estetica, emozione universale e catartica, è questo il miracolo che si compie nei racconti di KM., per questo ci scuotono e sorprendono e inquietano.
Ora abbiamo dunque due guide per inoltrarci nell’universo di Mansfield e affrontare, ad esempio, la potenza vertiginosa dei suoi finali, in cui precipita sempre il delicato e complesso montaggio di un insieme trasparente di dettagli, invisibili e numerosi, così che questa scrittrice sembra conoscere i segreti più nascosti della realtà, che riesca a bucare in una riga la ragnatela dell’apparenza dentro la quale siamo tutti catturati.
I suoi personaggi sono spesso voce, questo sono spesso le sue donne, ombre leggere ma potenti, «voce fioca dal pozzo profondo» di Linda con Stanley, il marito, o «voce speciale» se parla con la madre, o voce «che le donne usano tra di loro di notte», o ancora «voci calde e amorevoli come se condividessero un segreto» quando non c’è un uomo per casa, o sussurri spaventati, ammutoliti, dalla semplice ombra paterna. Le sue donne sono sguardo che tutto così racconta, come lo sguardo «fisso e scialbo» di Constantia, o quello della bambina Else, che vede «la piccola lampada» prima di sorridere tacendo, e straordinari sono bambine e bambini ogni volta che attraversano la pagina con grazia raramente raggiunta in altre scritture.
Si potrebbero ritagliare intarsi che raccontano di madri che non amano i loro figli, di nonne che lavorano a maglia e insegnano tranquille la vita e la morte a una piccola nipote, Kezia, che le si aggrappa al collo e la bacia «sotto il mento e dietro l’orecchio e a soffiarle sul collo».
Ogni donna da lei creata è differente, non dagli uomini, il che è ovvio, ma dalle tante rappresentazioni che affollano la nostra mente, la occupano, spesso la colonizzano con il già pensato, e KM, sottovoce, come è la sua scrittura, fa vedere quanto altro è reale e vero e bello, per lei che insegue bellezza e verità per vocazione.
Si sente ovunque in questa scrittura veloce, a volte febbrile, un temperamento letterario di raro valore, sempre bruciante, a volte quasi noncurante, come se a guidarlo fosse una stella polare che abita il cielo solo per lei, che lei segue da un margine che non possiamo vedere e che la rende unica. Unica nel creare una natura selvaggia che è solo ricordo di fiori e alberi che non vede più, ma nomina insistente a renderli sempre presenti, come l’eucalipto che appare «immenso: un enorme gigante con i capelli dritti in testa e le braccia spalancate», o nel colorare di rosa un cielo con «grandi masse di nuvole accartocciate» mentre in alto «l’azzurro sbiadiva; diventava oro pallido». Unica nella descrizione della morte per crudeltà di una mosca, che si batte, misera, contro una goccia d’inchiostro, o del gelo che accompagna l’affrettata simpatia di una signora verso il parrucchiere che ha perso la sua bambina, o della crudeltà di classe verso due bambine, le figlie di una lavandaia. Unica a farci intuire quello che della vita, di ciò che è o non è la vita, in un rapido balbettio possono comprendere un fratello e una sorella alla fine di una festa.
Nel non detto, nell’ellissi, KM mostra il meraviglioso nel quotidiano, che sia una festa in giardino, un canarino perfetto compagno di vita, la ritrovata giovinezza nella passione fra due donne, in un movimento incessante che cuce l’essere con il non essere, e travolge una ragazza e i suoi sogni di libertà, o «una donna raggiante, con le labbra frementi, sorridenti, e grandi occhi neri e l’aria di chi è in ascolto, in attesa di qualcosa di… divino che accada… che sapeva sarebbe accaduto… immancabilmente»: pura felicità. Pura e indimenticabile, come ogni pagina di questa maestra del racconto.
(il manifesto, 10 dicembre 2024)