Intorno a una serie di lunghi monologhi l’autrice e criminologa svizzera imbastisce il suo romanzo d’esordio uscito per Nottetempo nella nuova collana “il pesanervi” che, sotto il segno di Antonin Artaud, riprende il nome di una storica serie degli anni Sessanta
Edda Melon
A lungo il perturbante, l’inquietante familiarità che sorprende e terrorizza, e che tutti conosciamo per esperienza, è stato associato ai racconti del genere cosiddetto fantastico, dove, sulle orme di Freud, lo si poteva osservare e interpretare quasi in vitro. In seguito, letterati, filosofi, psicoanalisti, studiose femministe, hanno cominciato a interrogarsi sulla sostanza di quello che potremmo chiamare il perturbante contemporaneo, di ciò che non ha nome, per dirla con Giorgio Rimondi, che insieme ad Annarosa Buttarelli ha dato vita a un variegato gruppo di lavoro (Rimondi, Lo straniero che è in noi. Sulle tracce dell'”Unheimliche”, Cuec 2006; Buttarelli – Rimondi, Dove non c’è nome. Nuovi contributi sul perturbante, Scuola di cultura contemporanea 2007).
In questo orizzonte si può leggere il primo romanzo di Catherine Lovey (nata in Svizzera nel 1967), giornalista e criminologa, che ha per titolo L’interdetto (nottetempo, traduzione di Lucia Regola, pp. 124, euro 9). La struttura è di una pulizia abbagliante: una serie di lunghi monologhi – come verbali di sedute registrate – rivolti a uno psicoanalista totalmente silenzioso da parte di un uomo sospettato di aver ucciso la moglie. Raggiunto sei mesi prima dalla notizia della sparizione della donna mentre è in viaggio d’affari a Londra, per non perdere la firma di un contratto importante da cui fa dipendere la sua carriera, non anticipa il rientro né telefona alla vicina che, nell’emergenza, ha preso in custodia i suoi tre bambini. Il suo eloquio è monocorde, ossessivo. Non una parola sulla moglie, ma solo timore di perdere il lavoro e autocommiserazione per la fatica di doversi occupare dei figli (bambini, bambine, chi lo sa? strano rapporto con il femminile). Nessun sentimento, nessuna emozione, ma un’angoscia crescente che l’uomo sembra provare di fronte allo “straniero” che è in lui. Che sia colpevole o vittima, è difficile per il lettore stare dalla sua parte. La sua stessa esistenza – che ci ricorda altri personaggi della letteratura oltre che delle cronache, quelli di Dürrenmatt per esempio, o di Carrère (L’avversario, La settimana bianca) – è per noi fonte di un malessere che le pagine del breve romanzo portano a livelli insostenibili, senza remissione.
Non a caso il libro della Lovey ha inaugurato, nelle edizioni nottetempo di Ginevra Bompiani e Roberta Einaudi, una collana che riprende nel nome, “Il pesanervi”, una storica collana degli anni Sessanta. All’insegna della parola inventata da Antonin Artaud nel 1925 – il pesanervi appunto – e adottata da una giovanissima Bompiani nella casa editrice del padre, la pubblicazione in controtendenza di questi “Capolavori della letteratura fantastica”, durò all’incirca quattro anni, per un totale di diciassette titoli, con una grafica di copertina firmata da Franco Ricci, ottime traduzioni e prefazioni illuminanti. Dal Golem di Meyrink all’Eva futura di Villiers de l’Isle-Adam, dal Monaco di M. G. Lewis raccontato da Artaud all’Invenzione di Morel di Bioy Casares, si trattò per i lettori italiani di un rapido corso di aggiornamento su un’intera zona letteraria della modernità. Siamo situati esattamente tra la pubblicazione del saggio di Roger Caillois Nel cuore del fantastico (1965), e l’Introduzione alla letteratura fantastica di Tzvetan Todorov (1970), quando questa letteratura di avventure, di fantasmi, di fantascienza, nera o gotica, stava per diventare popolare ma anche per varcare le soglie dell’università e fornire materia per la teoria.
A quarant’anni di distanza, quale potrebbe essere allora la posta in gioco dei nuovi Pesanervi? Per intanto, la collana sembra voler saggiare diverse direzioni, aggiungendo opportunamente, al fantastico, il poliziesco e il noir. I primi quattro libri hanno un aspetto allegro e invitante, un formato maneggevole, un’illustrazione sempre diversa firmata da Jean Blanchaert, nome celebre nell’arte contemporanea, e una cura impeccabile. A differenza della prima serie che metteva in catalogo unicamente grandi nomi di autori al maschile, qui la proporzione è di tre autrici contro uno. Vero è che la maestria femminile nell’arte della detection psicologica è assodata, e viceversa nel campo del racconto fantastico il canone è piuttosto avaro di scritti di donne. Ma anche qui, vanno citati i lavori di alcune studiose italiane che hanno avanzato l’ipotesi di modelli differenti, meno inquietanti, dell’immaginario femminile (Eleonora Chiti, Monica Farnetti, Ute Treder, La perturbante, Morlacchi 2003).
In attesa di saperne di più, possiamo apprezzare due gialli pesanervi di stampo classico. Miss Pym, di Josephine Tey, tradotto da Rosanna Pelà, era già circolato vent’anni fa nella Tartaruga Nera, ed è un gradito ritorno. L’ambiente dove la Tey immerge la sua deliziosa Lucy Pym, signorina di mezza età esperta (ma non troppo) di psicologia, è un college femminile di Educazione fisica, immerso nella campagna inglese, frequentato da uno stuolo di fanciulle fresche ed esuberanti, che si preparano sia a una vita lavorativa sia, in alternativa, a una carriera di moglie. Quando la morte farà irruzione nell’atmosfera festosa di fine anno, Miss Pym sarà costretta a rivedere molte delle sue prime impressioni su allieve e insegnanti. Là dove un detective sarebbe soddisfatto di aver risolto il caso, la lettrice continuerà a rimuginare sui misteri del cuore.
Più recente e complesso il libro di Batya Gur, Un delitto letterario (traduzione di Elisa Carandina), ambientato nel dipartimento di Letteratura dell’Università di Gerusalemme. L’autrice, già nota in Italia, è stata docente di letteratura e articolista sul quotidiano Ha’aretz. Gli ingredienti del giallo universitario ci sono tutti, dalle piccole vanità alle rivalità professionali all’adulterio, ma la prolungata ricerca del colpevole non annoia mai e svela alla fine risvolti abbastanza sorprendenti, che affondano nelle vicende europee del secolo scorso. Oltre che agli appassionati del giallo e dei comportamenti accademici, può piacere ai veri studiosi di poesia, con pagine e pagine di abilissime analisi testuali.