Nel giugno del 1991, è uscito il primo numero di Via Dogana, la rivista della Libreria delle donne di Milano che si è aperta il 15 ottobre 1975. Tanto per dire che non siamo effimere. Ma precarie sì che lo siamo, perché la politica lo è (e Via Dogana è una rivista di politica, politica delle donne che non esclude gli uomini). Che cosa vuol dire? Che l’essenziale è sempre in gioco e che si tratta di tradurre quello che c’è e quello che cambia, in una possibilità di esistenza libera, mirando non alla conquista del potere ma al poter essere e agire liberamente nella convivenza. Succedono cose che ci danno più di una ragione di esistere. Si comincia a sapere che le donne esistono per sé stesse e non per diventare come gli uomini. Va bene, benissimo. Noi però sappiamo che il cambiamento, se riguarda la libertà femminile e non la spartizione del potere, si sviluppa con la presa di coscienza e questa ha la stessa natura del fuoco, si accende, si alimenta e non diventa possesso. Da questo punto di vista, anche la retorica della “svolta epocale” può fare ingombro. Davanti al protagonismo appariscente di alcune come a quello diffuso e crescente di molte, davanti al perdurante silenzio di moltissime, il criterio per noi è sempre uno, che ci sia libertà e parola di donna in prima persona, che sia lei a dire, che sia lei a decidere e non altre o altri al suo posto. (Invece del Parlamento, chi vuole governare, secondo noi, dovrebbe aprire un Ascoltamento.) Questa concezione della politica ha contro di sé, da una parte il potere politico che strumentalizza le relazioni, dall’altra il potere economico dell’uno per cento che pesa sulle vite e sulle speranze dei più.