Introduzione di Michela Pereira
Per la prima volta pubblicato In Italia, il corpus della poesia trobadorica femminile dei secoli XII e XIII – testi provenzali con traduzione a fronte – è qui presentato da Marirì Martinengo, già appassionata insegnante di scuola e pedagogista (vedi, tra l’altro, i suoi contributi a Educare nella differenza, a cura di Anna M. Piussi, 1989, e ai Quaderni di pedagogia “La prima ghinea”) e ora appassionata studiosa dell’opera di civiltà delle donne nella storia (ha scritto su Ildegarda di Bingen nei volumi collettanei Diotima. Il cielo stellato dentro di noi, 1992, e Libere di esistere, 1996), con il particolare impegno, condiviso da altre, di mettere in relazione mondo della scuola e mondo della ricerca specialistica (vedi Lo scambio necessario, 1994).
Servendosi delle ricerche di una pioniera come l’americana Magda Bogin, che negli anni Settanta ha ridestato l’interesse per le trobairitz, e poi di altri e altre studiose come la filologa tedesca Angelica Rieger (anche queste mai pubblicate in Italia), l’autrice ci guida alla lettura dei testi e delle vite di artiste del trobar finora talmente sconosciute da noi che – come nota la storica Michela Pereira nell’introduzione – non c’era un nome in italiano per loro: le trovatore. Pur essendo relativamente poche le composizioni poetiche rimaste, attraverso il lavoro di Marirì Martinengo riusciamo a farci un’idea della statura umana e letteraria delle donne dell’età cortese, apprezzate e ascoltate dai contemporanei come vere e proprie “maestre di civiltà”.
Da qui l’importanza di questo lavoro, che oltre a invitarci a godere la bellezza di canzoni, ballate, tenzoni mai sentite, ci mostra le radici femminili di quella rivoluzione nel rapporto tra i sessi che è stato l’amor cortese. Radici a cui possiamo idealmente accostare quante si sono poi generosamente dedicate all’impresa di insegnare ad amare: dalle grandi scrittrici mistiche alla filosofa francese Simone Weil e, ai nostri giorni, Luce Irigaray.