di Fiorella Cagnoni
Non ho mai riso tanto in tante come quando abbiam fatto la prima Aspirina (Rivista per donne di sesso femminile l’aveva sottotitolata lei) e dopo tutti questi lustri mi restano ancora in qualche riparo del cuore le mattine in via san Marco a casa di Pat col sole che tiepido milanese illuminava il tavolo, e le nostre teste imbizzarrite che guidate da lei trovavano occasioni ironiche a cascata proprio come l’acqua dirompe da un troppo pieno.
I suoi libri ogni tanto li rileggo sprofondo nelle poesie o in quella irripetibile soppesata curata corretta indagata limata fin nelle bozze prosa senza virgole. “Posso benissimo fare a meno dei punti, delle virgole e dei punti e virgola che mi sono venuti terribilmente a noia,” sosteneva.
Da lei ho imparato a chiamare cana la femmina della specie canina a non prendermi mai troppo sul serio ma sempre seriamente a giocare d’azzardo con le parole a non offendermi quando mi toglieva il saluto per settimane perché una notte invece di far tutto il giro della città per accompagnarla a casa la lasciavo al parcheggio dei taxi poniamo di piazzale XXIV Maggio, a voler scrivere, ad amare le donne con spensierato costante impegno a pensare sì al suicidio ma soltanto come impresa collettiva.
Alcune predilezioni ci univano senza scampo al di là delle nostre età e ritmi differenti: i gatti e le gatte, la scrittura e la lettura, una certa misandria (che lei più frequentemente di me stemperava con repentini entusiasmi per mariti d’amiche, – a parte Totolein che in ogni modo amava dalla nascita) la Libreria di Milano e Letizia.
Quando è stato quasi pronto il suo ultimo libro ha cercato il modo di togliermi ancora il saluto. E non per poche settimane, benché la presenza quasi egemonica di Margherita nelle vite di entrambe abbia facilitato anche quella ripresa.
Il lavoro di editing che m’aveva chiesto di fare sull’ultima stesura del Paese di Calce l’era parso invadente invasivo indiscreto sfacciato, probabilmente aveva ragione o forse no ma in ogni modo la questione – di quanto e come sia utile a chi scrive avere una revisora che intervenga anche sulla scrittura convinta che come sarebbe in una traduzione sta cercando di perfezionare quella che per lei è la forma perfetta della prosa della scrivente – sarebbe rimasta tra noi e resta per me in solitudine appassionante e per ora infinita.
La mattina del 24 aprile del 2000 m’ha telefonato Ciccio da Milano per dirmi che era morta e sono rimasta lì come una bambina sul terrazzo più alto della casa di Leslie al sole passionale gallurese a guardare il mare. Che, – diversamente da come diceva la sua canzone preferita, – son sicura non la stava portando alla deriva.
Certo non alla deriva da me, che sento la sua più dolorosa mancanza proprio quando la questione per me più appassionante e infinita si riaffaccia prepotente e irrespingibile alla mia attenzione.
E per parlarne in italiano non ho avuto interlocutora migliore di lei, – che era una grande grande grande scrittora.
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