di Clara Jourdan
Mi ha molto colpito la vasta adesione – più di cento tra partiti e associazioni – alla manifestazione di Milano del 18 marzo scorso a favore dei “diritti dei figli e figlie di coppie dello stesso sesso”. Una delle motivazioni più sentite è che non è giusto discriminare i genitori per l’orientamento sessuale. Verissimo! Quello che conta è l’amore. Ma all’origine della mobilitazione c’è la richiesta di registrazione in Italia dei bambini nati all’estero e lì registrati come figli di coppie di uomini. Allora il punto della questione non è l’orientamento sessuale, ma di chi sono figlie le creature di cui si vogliono tutelare i diritti. Per saperlo bisogna distinguere se le coppie dello stesso sesso sono di uomini o di donne, e in questo la differenza è abissale. Se si tratta di coppie di donne, le creature sono figli e figlie di una delle due donne, quella che ha dato loro vita e giustamente vuole che venga riconosciuto anche giuridicamente il legame che hanno con la sua compagna, mamma di fatto. Se invece si tratta di coppie di uomini, forse non tutti sanno che i loro bambini e bambine sono stati comperati, con un contratto di “utero in affitto” detto anche “gravidanza per altri” che in altri paesi è ammesso, perciò sarebbe aberrante considerarli figli loro: gli esseri umani non possono essere oggetto di scambio, da quando è stata abolita la schiavitù.
Queste creature sono state programmate per essere separate alla nascita dalla madre, perché venga loro tolto ciò che più desiderano e di cui hanno bisogno, come sa chi ha visto un neonato o una neonata: stare con la propria madre, colei con cui si sono formate e nel cui ventre hanno vissuto per nove mesi. Portarle via è un modo crudele per diventare genitori. Assurdo pensare di sistemarlo con i diritti. Come si può credere che il diritto ad avere due padri si possa basare sul privare un bambino o una bambina del suo primo diritto, il legame con la madre? Se si tratta di una privazione per necessità, per la morte o il rifiuto da parte della madre, ben venga l’amore di genitori sostituti. Altrimenti c’è una crudeltà che resta indelebile. Se gli acquirenti sono persone sensibili si porteranno per tutta la vita il senso di colpa per la crudeltà originaria che hanno fatto, e il senso di colpa, specie se di vera e grave colpa, è una mina vagante nelle relazioni. Se poi non sono persone sensibili, continueranno ad aggiungere altre crudeltà alla crudeltà originaria pur di godere al massimo del loro bene prezioso.
Purtroppo il commercio di bambini si sta estendendo, e riconoscere come genitori i committenti (uomini e donne) non farebbe che aumentare questa orribile pratica, come avviene con la prostituzione quando è legalizzata. Allora come proteggere le creature già comperate e portate in Italia? La cosa più giusta sarebbe sottrarle ai compratori, come si fa con i rapitori di bambini, che non vengono considerati accettabili come genitori, e riportarle alla madre, se possibile; se no, darle in adozione a singoli o coppie (di qualunque orientamento sessuale) che possano amarle più liberamente dato che non hanno causato la perdita del loro legame materno. D’altra parte però molti di questi bambini si sono affezionati ai compratori, li considerano genitori, come capita anche in caso di rapimenti, e causerebbe un ulteriore trauma separarli da loro. Bisogna pensare cosa sia meglio davvero per le creature, andrebbe valutato caso per caso, ma da chi? È un problema molto grande, non si può liquidarlo trasformando in diritto uno stato di fatto originato da una violenza.
Comunque una cosa è certa: l’utero in affitto non va introdotto nel nostro ordinamento, neanche con la scorciatoia dell’adozione strumentale, e va abolito in tutti i paesi, così come è stata abolita la schiavitù.
(www.libreriadelledonne.it, 21 marzo 2023)