di Umberto Varischio
Discutere del silenzio potrebbe rappresentare una contraddizione in termini, ma una contraddizione può produrre pensiero, parola e azione.
Di silenzio (ma non solo), si è discusso sabato 13 aprile 2024 alla Libreria delle donne di Milano durante la presentazione de Il silenzio del noi (Mimesis 2023, pp. 90), un volumetto di Niccolò Nisivoccia; l’autore, avvocato ma anche editorialista, scrittore e poeta, ha ragionato sulla scomparsa non tanto del silenzio, ma di un silenzio strettamente legato ad una dimensione collettiva del parlare e dell’agire.
Una dimensione che, secondo lui, ha iniziato a scomparire verso la fine degli anni ’70 del secolo scorso quando è sparito anche il noi. Un noi che è svanito quando abbiamo smesso di confrontarci, di scontrarci, di dialogare, di assegnare alla parola un valore preminente, sostituendolo con un individualismo arrogante e assordante.
La discussione sul silenzio ha prodotto in me pensiero e ordine del pensiero (ma al momento volutamente non parola) per quella feconda contraddizione a cui accennavo sopra.
Alla metà degli anni ’70 ero un giovane uomo, di famiglia operaia immigrata dal Friuli, avevo studiato in un istituto tecnico come perito elettronico e le parole che ascoltavo e leggevo mi hanno permesso (come a molte altre e altri nella mia stessa condizione sociologica ed esistenziale) di parlare in pubblico, intervenire durante le assemblee del mio luogo di lavoro (allora una grande multinazionale informatica statunitense), discutere all’interno della rappresentanza sindacale interna, parlare nelle riunioni di gruppo politico e via via nel tempo fare anche seguire un corso di studi universitari umanistici.
Parole pronunciate e lette che mi hanno permesso di considerarmi come appartenente a un noi molto ampio.
Questa situazione non è durata a lungo, il parlare si è ritirato nelle stanze e nei luoghi deputati e sono state delegate a chi tali strumenti li aveva e li sapeva usare; piano piano le/i parlanti si sono via via azzittiti e hanno lasciato agli “esperti” (intellettuali, politici di professione e così via) la preminenza della parola. E, con la lenta scomparsa della parola libera e diffusa, è scomparso anche il noi.
Nell’incontro di sabato si è discusso meno di come uscire da questa afonia del noi; su questo sento mancarmi le parole e preferisco ritirarmi in un silenzio che ascolta e mi sento solo di dire, al momento, con le parole di un filosofo, che su ciò di cui non si può parlare si deve tacere.
(www.libreriadelledonne.it, 18 aprile 2024)