di Francesca Traìna
Credo che oggi si debba andare oltre il pensiero schiacciato dalle ideologie e affrontare i problemi legati alla violenza dalla parte di chi la riceve, ma anche di chi la pratica. Questo significa calare il problema nel contesto socio-culturale costruito fin qui e nel vissuto psichico e intrapsichico dei soggetti agenti cercando collegamenti e connessioni tra ciò che la società rimanda come violento e ciò che ciascuno/a è rispetto al proprio agito di soggetto sessuato.
Avverto profondamente, soprattutto in questi ultimi tempi, la consapevolezza di un misfatto che si vorrebbe perpetrare: il tentativo di cancellazione del femminile in quanto non più corrispondente all’ordine patriarcale, il tentativo di limitare o condizionare la libertà femminile esercitando il controllo sul corpo e travalicando il principio della sua inviolabilità. Libertà che grazie al femminismo passa attraverso la possibilità di relazionarsi fra donne in modo diretto e non più secondo il modello riproduttivo che conduceva verso strade di omologazione legittimate dallo sguardo maschile e dalla sua intermediazione.
La relazione fra donne, non ritenuta politica, non è quasi mai stata trascritta nella storia, nel mito – e dunque nel simbolico – determinandone così la miseria, la declassificazione a “fatti di donne” o per dirla col nostro gergo siciliano, “cosi di fímmini”, fatti privati destituiti di valore politico.
E ancora oggi la realtà è soggetta a una invasione capillare e inesorabile di forme di violenza che ci colgono spesso impreparate/i, stupite/i e travolte/i da un senso di impotenza.
La proliferazione di atti violenti è stata così veloce da non darci il tempo di capirne e ricercarne le cause profonde condizionate/i come siamo ad analizzarne le conseguenze.
E siamo mancanti anche di un alfabeto per nominare e rendere riconoscibile la violenza, infinite essendo le sue espressioni.
La violenza sul corpo delle donne, come quella sul corpo dei/delle bambini/e, è la più brutale, ma è opportuno che gli uomini si interroghino su questo e sull’istinto non controllato dal cervello che insieme alla cultura li conduce all’efferatezza. Non c’è giustificazione che le donne possano trovare per gli stupratori acquattati nel buio dei garage in attesa della “preda”, né per coloro che ammazzano le donne perché non ne possiedono il corpo, né per quanti ricattano e schiavizzano per costringere alla prostituzione.
C’è un campo illimitato di violenze psicologiche e fisiche che riducono all’obbedienza, alla sottomissione e che replicano metodi usati dai nazisti nei campi di concentramento per annullare la soggettività umana privandola di identità e dignità, fino alla sua regressione allo stato animale.
C’è poi la violenza del linguaggio, il turpiloquio, l’offesa, l’insulto, l’umiliazione, la paura.
E poi vi sono le tracce visive e sconvolgenti della natura violentata, le immagini sporche dei nuovi media, l’arroganza del mezzo audiovisivo, l’invasività di una tecnologia che vorrebbe ridefinire e manipolare la percezione; le mutazioni dei paesaggi urbani, degli spazi domestici, la difficoltà di capire il mondo.
È un confronto serrato tra il pensiero e l’immaginario dominante, tra la realtà e la sua rappresentazione. Ed è in questa realtà che le donne praticano una possibile resistenza intesa come tensione capace di emettere segnali nuovi verso l’urgenza di un’alternativa, una diversa organizzazione del reale e del simbolico, un cambiamento che partendo da sé cambi il mondo.
La costruzione di un ordine simbolico rispetto all’appiattimento e all’omologazione culturale, ai condizionamenti e all’etica, non solo cattolica, che impone la “famiglia” come unica possibile forma sociale, conferisce valore alla ricchezza potenziale della realtà per svilupparne una singolarità che si ponga in maniera dialettica con un diverso pubblico.
Non si tratta di un approccio meramente contestatario e rivoluzionario, ma sovversivo proprio per il suo essere propositivo che pone la strada di una forte trasformazione e di un nuovo posizionamento femminile fuori dal vittimismo.
(www.libreriadelledonne.it, 29 aprile 2024)