di Antonella Nappi
Sono molto interessata a una iniziativa possibile per il disarmo dell’Italia e dell’Europa: ho dunque firmato una petizione di Disarmisti Esigenti che chiedeva per il 30 settembre a Roma all’assemblea organizzata da Raniero La Valle e Michele Santoro – Pace Terra Dignità – di formare una lista indipendente per le elezioni europee.
L’assemblea ha deciso di raccogliere le firme per dare una possibilità di voto a chi vuole uscire dalla guerra – non dalla Nato – alle prossime elezioni europee. I partiti esistenti non parleranno della guerra, come è già accaduto, se non li costringiamo a schierare, anche tra le loro fila, persone più orientate ad uscire dalla guerra presente in Europa (oggi devo dire, dalle guerre che abbiamo permesso anche di fianco a noi).
La lista che faremo non raccoglie e non persegue le diverse idee politiche di chi la compone, ma si impegna soltanto in quello che tutte le unisce: la volontà di uscire dalla guerra e di non inviare armi né in Ucraina né nel mondo.
Disarmisti esigenti, a cui do attenzione anche se fondata da uomini, ha ricordato all’assemblea che a fine dicembre il governo chiederà al Parlamento italiano di votare il rinnovo del decreto per gli aiuti militari all’Ucraina. Sarà ancora una volta in piazza, davanti al Parlamento per contestare il decreto. Gli interventi dei giovani di altre associazioni, uomini e donne, hanno chiesto agli adulti di non disertare le manifestazioni delle piazze contro l’invio delle armi, per mostrare con la presenza dei corpi, che siamo contrarie e contrari alla distruzione delle vite e favorevoli alla discussione dei conflitti con le ragioni dei nostri sentimenti.
Certo noi donne femministe facciamo di più di questo quando ci distinguiamo dagli uomini e valorizziamo la nostra differenza, creiamo un sapere che non c’era, che non è ancora praticato dalla politica tutta. Silvia Baratella, nell’articolo pubblicato dalla Libreria delle donne il 6 ottobre 2023, Femminismo: una visione altra della guerra, denuncia la “questione maschile ancora irrisolta”. Sta «dietro alla violenza maschile contro le donne, all’organizzazione capitalista dell’economia, alla concezione dell’ambiente come terreno di conquista da saccheggiare, alla scienza a compartimenti stagni, iperspecialistici, che non confrontano con altre discipline l’impatto del loro operato. La questione maschile è anche la guerra. Per come si è sviluppata la nostra storia, la guerra è stata un’invenzione maschile; questo non vuol dire che agli uomini piaccia.» Riportando Virginia Wolf, Baratella ricorda che ancora oggi «bisogna trovare in alternativa alla guerra altre “occupazioni onorevoli per gli uomini onesti”». E, riprendendo un’idea di Clara Jourdan1, ricorda che «nelle piazze principali di tutti i paesi italiani c’è un monumento ai soldati (non ai e alle civili) caduti in guerra, si considera ancora un onore per gli uomini onesti morire da soldati sacrificandosi per il bene del paese. Nulla ricorda invece le vittime degli incidenti sul lavoro, che pure si sono sacrificate per produrre tutto ciò che ci serve per vivere o per vivere meglio, e quindi ancor più per il bene del paese». È necessario ribaltare il concetto di “onore” che educa uomini di destra come di sinistra, continua, una educazione distruttiva/autodistruttiva che celebra la morte in combattimento come «più valida eticamente delle opzioni di pace».
Le donne morivano di parto e i bambini di fame nella nostra storia pregressa che l’antropologia ci descrive, la morte non faceva paura ma si cercava di risparmiarla alla propria comunità con le incursioni alimentari nelle comunità straniere ma anche con gli scambi. Ricomporre tra i sessi il valore di dare la vita e di alimentarla in epoca di pace è quello che stiamo facendo.
Il pacifismo, cultura creata da donne e anche da uomini, è la più alta espressione umana, parte dal dare valore a sé stesse e sé stessi, al corpo nato da donne, curato da donne e da quegli uomini che ne sentono l’onore. Uomini pacifisti hanno contestato e disertato la guerra; lottato per non tenere un’arma in mano e oggi hanno anche approfittato della pace distanziandosi dalla guerra; al contempo noi donne siamo dappertutto, possiamo operare nella società se continuiamo a metterci in discussione tra noi e a relazionarci con sincerità. Comunichiamo anche con gli uomini che accettano di mettersi in discussione, di rispettare i limiti che la realtà delle altre esistenze impone, l’intangibilità dei corpi delle donne e degli uomini. Uscire dalla guerra è una battaglia per il riconoscimento della vita che è stata data e ricevuta dalle donne.
1 C. Jourdan, “La guerra fa parte della questione maschile”, https://www.libreriadelledonne.it/report_incontri/la-guerra-fa-parte-della-questione-maschile/
(www.libreriadelledonne.it, 10 ottobre 2023)