di Umberto Varischio
Su La Stampa del 17 settembre Luigi Manconi, in un commento intitolato “La democrazia dei sensi di colpa”, si occupa dell’entrata in vigore del decreto del governo ungherese che impone alla donna che voglia accedere all’interruzione di gravidanza, l’obbligo di ascoltare il battito cardiaco del feto; instaurando così «una democrazia dei sensi di colpa».
Quest’ultimo sarebbe un «sistema dove tutte le conquiste non solo richiedono fatica – come è normale che sia – ma vengono fatte pagare a caro prezzo e sono da espiare; e dove ogni diritto è sempre precario e revocabile». Manconi mette giustamente in evidenza che la norma rappresenta il tentativo di fare subire alla donna l’espiazione per una colpa che la stessa avrebbe commesso ricorrendo all’interruzione di gravidanza. Per riprendere le parole di Laura Conti in un breve saggio del 1981 intitolato “Il tormento e lo scudo”, si vorrebbe «colpevolizzare la donna due volte: la prima perché abortisce» e quindi uccide un essere umano, la seconda perché lo farebbe senza o con poco dolore.
Con l’ascolto del battito cardiaco, in caso di aborto si vorrebbe provocare o ampliare il sentimento di colpa e i connessi ansia e rimorso; ma in questo caso il sentimento sopravviene per una colpa che la donna stessa non ha commesso.
Un senso di colpa dovrebbe, secondo me, essere invece provato da qualcun altro che un errore o una mancanza invece l’ha effettivamente commessa: quella di deresponsabilizzarsi per tutto quello che riguarda gli aspetti maschili della contraccezione. Molti uomini non sentono questo senso di colpa e rifuggono la responsabilità della gestione di una gravidanza non voluta (spesso anche di quella voluta). Non so quali siano in generale i meccanismi psicologici ed emozionali che sono causa di questa deresponsabilizzazione; in quanto uomo, e interrogandomi su come affronto la mia sessualità, penso che questa mancanza sia dovuta al non avere il “senso del limite”, di qualcosa che non debbo travalicare. Non di rado nel rapporto sessuale, nelle fantasie e nel concreto, vorrei (anche se poi nella realtà non lo faccio, per scelta consapevole generata dal confronto avuto con le donne) “andare oltre” nell’atto, un comportamento che si dice, in modo ridicolo e caricaturale, sia nella “natura” dell’uomo stesso: il non resistere a un desiderio sessuale, un reagire con violenza a un sesso negato, un non accettare nel rapporto sessuale una “negoziazione” (esplicita o implicita) tra atti che si possono fare e quelli che la mia partner non gradisce; quella stessa “natura” che ci porterebbe a commettere stupri e femminicidi. In questo senso del limite penso ci sia anche il mettere in conto che un rapporto sessuale potrebbe implicare anche il concepimento e quindi la scelta di fermarsi, di non andare oltre (in questo caso di non agire il rapporto sessuale completo oppure di proteggersi).
Un senso di colpa in questo caso sarebbe bene che noi maschi lo avessimo e cercassimo di renderci consapevoli di aver commesso un errore e di avere, per questo, fatto del male a qualcuno. Un senso di colpa, o meglio una consapevolezza, non sarebbe qui un sistema di prevaricazione come quello attuato dallo Stato ungherese, ma di civiltà.
(www.libreriadelledonne.it, 20 settembre 2022)