di María-Milagros Rivera Garretas
Dalla critica all’universalismo all’affermazione dell’indisponibile
Poco prima dell’incontro del 13 marzo 2016 lessi l’articolo di Silvia Niccolai Con l’universalismo è lei che ci perde (“Il manifesto”, 17/02/2016, www.libreriadelledonne.it). Mi parve decisiva la sua valutazione del rischio che comporta l’universalismo (dei diritti, dell’uguaglianza, dell’istruzione, dalla sanità, del mercato…) per la libertà femminile. Ma mi rimase un’inquietudine che si è rafforzata durante il suo intervento all’incontro. Ho sentito che la cornice dell’universalismo mi metteva in un vicolo cieco, come mi succede quando si critica una ideologia senza vagliarla esplicitamente con il pensiero e le pratiche femminili libere.
Al parlare di Silvia Niccolai di universalismo, mi è mancato il contesto dell’idea di Luce Irigaray dell’universale come mediazione.1 Perché? Perché amo gli universali: amo il riconoscimento e il lavoro di ciò che è comune a donne e uomini nella politica sessuale e nel resto della politica. Luce Irigaray ha mostrato che il compito della filosofia è il lavoro dell’universale, che il proprio dell’universale è di essere mediatore, e che l’universale maschile (il neutro suppostamente universale denunciato dal femminismo) non è un universale perché non è mediatore. Non è mediatore perché è stato costruito e viene sostenuto senza tener conto dell’altro sesso. Cioè, l’universale come mediazione è veramente politico, l’universalismo no. Le beghine, per esempio, sono un universale mediatore femminile perché ci furono begardi che fecero propria questa invenzione femminile. La libertà femminile trascinò quella maschile senza smettere di essere femminile. Seppe essere lei e ciò che lei non era; seppe essere le due cose insieme ed esserlo arricchendosi della relazione con l’altro, non in lotta dialettica. Come l’euritmia include in sé l’inarmonico, o la differenza include nel suo seno l’uguaglianza senza farle diventare un’antinomia del pensiero.
Durante l’incontro, mi sono chiesta se la preziosa idea/proposta esposta da Luisa Muraro dell’“indisponibile”, riferita al corpo femminile in generale e nel contesto de “Il corpo femminile fecondo” che motivava la riunione, non sia un universale come mediazione. Perché il corpo femminile (io vivo così il mio) è un indisponibile che senza smettere di esserlo è aperto e disponibile. Lei sa. Mi vengono in mente le murate medievali che muravano il loro corpo in una muraglia o un ponte, luoghi eminentemente mediatori, mostrando al mondo la loro indisponibilità al patriarcato e allo stesso tempo la loro disponibilità allo scambio con chi andasse a visitarle, specialmente la visitazione dell’amore divino. Giuliana di Norwich fu un grande esempio molto tempo fa. Oggigiorno, le alunne e gli alunni capiscono in un lampo questo paradosso che alcuni anni fa non si percepiva, dato che allora scandalizzava l’estrema eccentricità del gesto delle murate, un gesto che poteva durare e di solito durava tutto il resto della vita.
L’“indisponibile” è un’invenzione simbolica che mi connette con l’inviolabilità del corpo femminile, del mio corpo. Mi porta a ciò che disse Lia Cigarini nel medesimo incontro, sulla necessità di una espressione radicale che arresti la violenza contro le donne che il diritto non è riuscito a fermare.
(Traduzione dallo spagnolo di Clara Jourdan, Via Dogana 3, 17 marzo 2016)
De la crítica al universalismo a lo indisponible
María-Milagros Rivera Garretas
Poco antes de la reunión del 13/03/16, leí el artículo de Silvia Niccolai Con l’universalismo è lei che ci perde (Il manifesto 17/02/2016, www.libreriadelledonne.it). Me pareció decisiva su apreciación del riesgo que supone el universalismo (de los derechos, de la igualdad, de la educación, de la sanidad, del mercado…) para la libertad femenina. Pero me quedó una inquietud que se afianzó después durante su intervención en el encuentro. Sentí que el marco del universalismo me metía en un callejón sin salida, como me pasa cuando se critica una ideología sin contrastarla explícitamente con el pensamiento y las prácticas femeninas libres.
Al hablar Silvia Niccolai de universalismo, me faltó el contexto de la idea de Luce Irigaray de lo universal como mediación.1 ¿Por qué? Porque amo los universales: amo el reconocimiento y el trabajo de lo que es común a mujeres y hombres en la política sexual y en el resto de la política. Luce Irigaray mostró que la tarea de la filosofía es el trabajo de lo universal, que lo propio de lo universal es el ser mediador, y que lo universal masculino (el neutro pretendidamente universal que denunció el feminismo) no es un universal porque no es mediador. No es mediador porque ha sido construido y es sostenido sin tener en cuenta al otro sexo. Es decir, lo universal como mediación es verdaderamente político, el universalismo no. Las beguinas, por ejemplo, son un universal mediador femenino porque hubo beguinos que hicieron suya esa invención femenina. La libertad femenina arrastró a la masculina sin dejar de ser femenina. Supo ser ella y lo que ella no era; supo ser las dos cosas a la vez y serlo enriqueciéndose de la relación con lo otro, no en lucha dialéctica. Como la eurritmia incluye en sí lo inarmónico, o la diferencia incluye en su seno la igualdad sin convertirlas en una antinomia del pensamiento.
Durante el encuentro, me pregunté si la idea/propuesta preciosa que expuso Luisa Muraro de “lo indisponible”, refiriéndose al cuerpo femenino en general y en el contexto de “Il corpo femminile fecondo” motivo de la reunión, no será un universal como mediación. Porque el cuerpo femenino (yo vivo así el mío) es un indisponible que, sin dejar de serlo, está abierto y disponible. Ella sabe. Me vienen a la memoria las muradas medievales que tapiaban su cuerpo en una muralla o un puente, lugares eminentemente mediadores, mostrando al mundo su indisponibilidad al patriarcado y, al mismo tiempo, su disponibilidad al intercambio con quien fuera a visitarlas, especialmente la visitación del amor divino. Juliana de Norwich fue un gran ejemplo hace mucho. Hoy día, las alumnas y alumnos entienden en un destello esta paradoja que unos años atrás no se percibía, escandalizando entonces la excentricidad extrema del gesto de las muradas, un gesto que podía y solía durar todo el resto de la propia vida.
“Lo indisponible” es una invención simbólica que me conecta con la inviolabilidad del cuerpo femenino, de mi cuerpo. Me lleva a lo que dijo Lia Cigarini en el mismo encuentro sobre la necesidad de una expresión radical que detenga la violencia contra las mujeres que el derecho no ha conseguido parar.
1 Luce Irigaray, L’universel comme médiation (1986), en Ead., Sexes et parentés, París, Les Éditions de Minuit, 1987, 139-164; p. 162. (Sessi e genealogie, trad. di Luisa Muraro, Milano, La Tartaruga, 1989).
(Via Dogana 3, 21 marzo 2016)