di Valeria Cagnazzo
Era rimasta solo questa possibilità alle donne afghane per studiare e avere un lavoro: diventare ostetriche o infermiere. Il nuovo decreto del governo de facto dei talebani nei giorni scorsi ha strappato alle ragazze anche quest’ultima speranza. Il divieto ha sospeso tutti i corsi di studio in ostetricia e infermieristica per le donne.
È stato il Ministero della Salute Pubblica afghano tre giorni fa a rilasciare il comunicato che tutti i corsi di formazione in ambito sanitario per le donne sarebbero stati «sospesi in tutto l’Afghanistan fino a nuovo avviso».
Circa 17.000 ragazze studiavano per diplomarsi come ostetriche o infermiere. Erano ormai le uniche studentesse nel Paese. L’emirato talebano ha, infatti, progressivamente escluso le donne dalla vita pubblica e dall’istruzione: una progressiva stretta che nel marzo 2023 aveva chiuso persino le scuole alle bambine oltre l’ottavo grado scolastico.
Era rimasta soltanto un’eccezione che permetteva alle ragazze di continuare a sognare un futuro diverso che non fosse soltanto quello di diventare mogli e madri recluse in casa. Potevano, infatti, ancora frequentare i corsi sanitari di ostetricia e infermieristica. Molte ex studentesse di medicina o aspiranti tali così come molte ragazze iscritte ad altri corsi universitari non più accessibili alle donne si erano spostate tra i banchi delle professioni sanitarie. Solo a loro, oltre che alle bambine non più grandi dei dodici anni, era permesso di studiare. E di andare in ospedale e imparare sul campo il mestiere.
Un mestiere, tra l’altro, necessariamente femminile: in Afghanistan un uomo non può visitare una donna in assenza di un tutore e le sale parto sono bandite al personale maschile. Il lavoro delle ostetriche è un’esclusiva delle donne. Era, pare, perché se non potranno formarsi nuove ostetriche questa figura rischierà di scomparire dalle corsie dei già pochi e carenti ospedali afghani.
Il decreto non colpisce “soltanto” le studentesse. L’Afghanistan detiene uno dei più alti tassi di mortalità da parto al mondo: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), 620 donne afghane su 100.000 muoiono nel tentativo di dare alla luce un bambino. Un numero altissimo che dimostra quanto fosse necessario migliorare proprio l’assistenza alla gravidanza e al parto, piuttosto che infliggervi un ulteriore danno tanto miope e violento. Proprio pochi mesi fa l’Agenzia Onu per la salute riproduttiva (Unfpa) dichiarava «l’urgente bisogno di altre 18.000 ostetriche qualificate per soddisfare la domanda di assistenza al parto» in Afghanistan. Migliaia di studentesse sono, invece, adesso rispedite in casa, e la vita di migliaia di donne e neonati viene messa ulteriormente a repentaglio.
La Missione Onu di Assistenza all’Afghanistan (UNAMA) ha osservato come tale restrizione «alla fine avrà un impatto dannoso sul sistema sanitario in Afghanistan e sullo sviluppo del Paese». Anche Richard Bennett, osservatore speciale Onu sui diritti umani nel Paese, ha commentato che un decreto del genere «avrà un impatto devastante sull’intera popolazione».
(pagineesteri.it 6 dicembre 2024)