di Graziella Balestrieri
Intervista di Graziella Balestrieri a Maria Luisa Boccia pubblicata su “L’Unità” del 25/11/2023.
Il femminicidio di Giulia ha innescato una rivolta da parte delle giovani e dei giovani, che chiedono una risposta politica e culturale profonda. Al contrario, i media non accolgono le istanze del discorso femminista e la sinistra si limita a soluzioni normative senza proporre linguaggi o rappresentazioni diverse della società.
Dopo il femminicidio di Giulia sono aumentate le chiamate al 1522, qualcosa sta cambiando?
Questo femminicidio ha provocato una reazione forte e diffusa tra le giovani e i giovani, credo anche per la posizione forte e molto efficace della sorella Elena, che è una di loro, una di quelle generazioni, e che ha detto delle cose decisive e fondamentali ovvero che l’assassino, Filippo, è un uomo normale, il figlio sano del patriarcato. E questo, secondo me, in qualche modo ha provocato quella reazione, di rottura, di ribellione molto forte: non più il silenzio ma fare rumore, i versi «se domani sono io, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima», che significano dire basta. Una reazione politica di rivolta – per usare un termine forte del femminismo delle origini, di Carla Lonzi – che è quell’atto di presa di coscienza individuale che poi diventa collettiva e questo si esprime anche con l’atto della denuncia. Anche la denuncia è un segno di questa rivolta, se trova terreno politico su cui si motiva e si trova anche la volontà di reagire. Non sono così convinta che si abbia fiducia nella capacità di risposta alla denuncia da parte delle istituzioni, di chi deve poi appunto intervenire rispetto alla denuncia. Spesso si continua a pensare che il problema sia il vuoto normativo quando invece il problema è il vuoto operativo cioè: delle norme poi cosa facciamo? Come le applichiamo? C’è la sensibilità alla preparazione, gli strumenti, il rapporto con la rete, per esempio, delle operatrici che rendono effettive anche le norme oppure no? È lì che bisognerebbe intervenire per dare una risposta, invece mi pare che di questo non si parli proprio.
Figlio sano del patriarcato: chi è nella società di oggi?
Sono gli uomini, non c’è da costruire l’identikit del criminale o del patologico, come spesso si fa. No, è la normalità, la violenza anche nelle sue forme estreme più efferate come sono molti femminicidi, anche questo di Giulia lo è, via via che emergono i dettagli è sempre più terrificante il comportamento del femminicida. È una normalità, sono uomini che diventano violenti, perché è nella loro identità maschile, nella sessualità maschile è iscritto il possesso del corpo della donna, che segna la storia millenaria dei rapporti tra i sessi. E si trovano di fronte all’imprevisto della libertà femminile, di una donna che non si adegua, non consente quella modalità. Questo è ciò che è avvenuto, il fatto nuovo, l’evento imprevisto è la libertà femminile che prende le forme più diverse. E non parlo di diritti, parlo proprio dell’attitudine e della predisposizione della donna a seguire sé stessa, a non adattarsi, a non adeguarsi a quello che è previsto, alla normalità cosiddetta dei rapporti tra i sessi, il rapporto affettivo, sessuale… Questo ha messo in crisi non solo le strutture, le culture, ma dall’interno ha messo in crisi i singoli uomini e questo produce diffondersi anche di violenza. È la crisi del patriarcato, è il disordine che produce il di più di violenza.
Perché l’uomo ha paura di una donna libera?
La sua identità è costruita sul possesso. Carla Lonzi parla di patologia possessiva, la donna come primo oggetto del possesso, e la riconosce proprio nella modalità della pulsione e del coito, della forma di realizzazione del piacere, penetrare è possedere e queste sono strutture profonde radicate nell’inconscio. Poi l’immaginario, la rappresentazione, ma ancora di più il discorso pubblico che tendono a ribadire che la famiglia è solo una cosa, che le identità sono quelle, che l’uomo deve corrispondere a quei canoni e la donna a quegli altri. Nelle relazioni sociali, politiche, economiche, sessuali, personali non viene acquisito un principio fondamentale che è quello della differenza, di rivolgersi all’altro e all’altra come differente, prestando attenzione e ascolto a quello che è differente. Quando si scompagina l’ordine che presumiamo naturale si producono anche queste forme di violenza, per questo per affrontarle ci vuole una capacità di lavorare sul terreno politico e culturale, sul terreno del linguaggio, dell’immaginario, delle rappresentazioni, del simbolico prima che su quello delle leggi, tanto più se vengono intese nella dimensione securitaria e punitiva. Gli uomini non sanno come rapportarsi, certo non tutti arrivano alla violenza o all’uccisione però…
Molti danno responsabilità alla scuola…
Stiamo parlando di una questione molto complessa che ha varie facce e coinvolge i rapporti tra generazioni in tutte le dimensioni. Se vogliamo cominciare da quelle fondamentali, sono la famiglia e la scuola. Però prima di mettere l’una contro l’altra dovremmo fornire sia alle famiglie, sia agli educatori degli strumenti, dei materiali. Se i libri di testo rimangono quelli che sono, la storia che studio, la letteratura, le scienze rimangono quelle che sono, l’educazione affettiva è come una goccia nel mare. Dovremmo intervenire, ma non è cosa che si fa in un giorno.
La figura della Presidente Meloni…
La Meloni sul piano pubblico si conforma al maschile, sul piano personale, privato «io sono una donna, sono una madre, sono italiana» ho una famiglia tutta femminile, risponde alla femminilità in pieno. Quindi femminile dove è previsto che devi essere femminile, tradizionale al 100%, quindi nel privato, uniformata al sistema maschile nel pubblico. L’ideologia Dio, Patria e famiglia è un’ideologia di restaurazione. C’è una spinta regressiva a ritornare ad un ordine tradizionale, i cui pilastri sono appunto Dio, Patria e famiglia.
E i social?
Colpire con le parole, con le immagini oggi è molto più diffuso. Però insisto: anche lì, una cosa sono le forme di controllo, ma altra cosa invece è intervenire per una maggiore consapevolezza, investire sul linguaggio dell’immaginario e del simbolico. È più complicato però è più efficace, c’è tanta produzione di un linguaggio differente da parte delle donne e non solo, tante soggettività, perché non raccoglierle? Perché nel mainstream non si dà spazio a queste presenze, queste voci? Ne vede di femministe che hanno pensato, elaborato, scritto nel mainstream? Nei media, nei giornali, poche… Eppure questa presenza migliorerebbe la qualità dei rapporti di tutti. Il femminismo vuole restituire le relazioni alle soggettività, differenti e plurali.
La sinistra invece?
La sinistra italiana è completamente afona su questo. Non sanno far altro che pensare a qualche norma, perché diciamolo: la sinistra dove è che si impegna a produrre, a creare nella società una cultura, un linguaggio, una rappresentazione diversa? A costruire un proprio discorso culturale? non lo fa più. Non ha più gli strumenti, non ha i luoghi. Non c’è una stampa funzionale a questo, una produzione di libri, anche proprio quell’attività che si faceva nella società, nella costruzione dei rapporti, della presenza dei soggetti politici nella società. Se dovessi dire quale sarebbe il punto di vista della sinistra non strettamente politico, ma su quale rappresentazione di una società di uomini e donne libere e differenti hanno, io non saprei con chi confrontarmi, non le so dare un riferimento di un testo, di un convegno, io non ce l’ho tutto questo da parte della sinistra.
Il 25 novembre in piazza cosa si aspetta?
Potrebbe esserci una maggiore presenza dei giovani e delle giovani, e questa è una cosa molto positiva e mi auguro anche che siano presenti più uomini in modalità di attenzione e rispetto per la presenza e il mondo femminile.
(crs.it, 30 novembre 2023)