di Mirko Mussetti
(Quando) il passato serve per capire il presente
Proponiamo la lettura dell’articolo di Mirko Mussetti, pubblicato sul sito dell’autore quasi un anno fa. Leggendo l’articolo non si può fare a meno di pensare alle innumerevoli volte che, al verificarsi di un evento tragico, si sente dire che era una tragedia annunciata: succede per tante vittime di femminicidio, è successo per la crisi economica del 2007… e in altre innumerevoli occasioni.
La domanda allora è perché un’intera classe politica non sia riuscita a rendersi conto di quello che si stava preparando, non abbia avuto e continui a non avere la lungimiranza di vedere più lontano pur godendo dell’enorme sapere elaborato in quotati centri di ricerca da stimati analisti, in centri di studio, istituzionali e non, e nonostante la disponibilità di tutte le informazioni degli apparati di intelligence. (La redazione del sito Libreria delle donne)
Da fine marzo la Russia sta concentrando truppe e mezzi militari lungo il confine orientale dell’Ucraina e in Crimea, riannessa da Mosca nel 2014.
Il Cremlino parla ufficialmente di legittime esercitazioni militari sul proprio territorio, ma i circa 85 mila soldati dispiegati a ridosso delle frontiere inducono a non scartare un’imminente invasione russa dell’Ucraina. In virtù non solo della quantità di uomini mobilitati, ma anche della qualità della tecnologia coinvolta.
Oltre all’artiglieria e alla strumentazione idonea all’abbattimento di droni, potrebbero ben presto fare la comparsa nella regione decine di carri armati senza pilota Uran-9, già testati con successo in Siria. La recente visita del potente ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ai siti di produzione dei tank robotizzati a Nakhabino, nei pressi di Mosca, è un messaggio in tal senso. Soprattutto, si registra la presenza di diverse batterie missilistiche a raggio intermedio Iskander-M (potenzialmente a capacità nucleare) in grado di colpire il cuore dell’Ucraina, a ovest del fiume Dnipro/Dnepr.
La concentrazione di assetti militari non riguarda solo la forza terrestre. La Russia ha trasferito nel Mar d’Azov imbarcazioni d’assalto anfibio provenienti dal Mar Caspio attraverso il canale del Volga-Don. Nel frattempo altre imbarcazioni militari della flotta del Mar Baltico si stanno dirigendo verso il Mar Nero. Il ministero della Difesa russo ha annunciato che si terranno nei prossimi giorni ampie esercitazioni aeronavali.
Inizialmente attese per il 14 e 15 aprile, le cacciatorpediniere statunitensi USS Donald Cook e USS Roosevelt hanno annullato il loro ingresso nel Mar Nero. In un contesto di alta tensione, la mossa americana sarebbe stata percepita a Mosca come più di una provocazione: essa avrebbe costituito un’intromissione nel naturale spazio geostrategico russo, che comprende l’intero specchio d’acqua eusino.
Le grandi manovre organizzate dal Cremlino nelle acque adiacenti la Crimea vanno interpretate come risposta a una triplice sfida: contro l’Ucraina, che sta a sua volta ammassando truppe lungo la linea di contatto nel Donbas; contro gli Stati Uniti (e per estensione contro la Nato), che appoggiano politicamente e militarmente il governo di Kiev; contro la Turchia, che non ha mai riconosciuto l’annessione russa della Crimea e offre droni d’attacco alle forze ucraine.
Proprio l’impiego dei famigerati droni turchi Bayraktar Tb2 contro le repubbliche separatiste filorusse di Luhans’k e Donetsk, in Donbas, potrebbe dare a Mosca il pretesto di partecipare direttamente nel conflitto a difesa dei residenti con passaporto russo. I droni sorvolano da giorni l’area, per ora senza aver mai sparato. La legittimità dell’intervento verrebbe ricercata nei dettami della Costituzione federale, che impone la protezione di tutti i cittadini russi anche se residenti all’estero.
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, in visita al Cairo, ha invitato i «paesi responsabili» a non vendere armi all’Ucraina. Il sollecito è primariamente rivolto alla Turchia, che con l’Ucraina detiene una stretta collaborazione nell’industria militare. Il fatto che l’esortazione sia stata formulata proprio mentre si trovava in Egitto, avversario strategico della Turchia, non può essere considerato un caso. Lavrov implicitamente fa sorgere un dubbio a qualsiasi paese intenzionato a rifornire le Forze armate di Kiev: «siete sicuri che le rate verranno poi corrisposte?». Alludendo al fatto che, in caso di scontro e di vittoria russa, nessuna industria militare concorrente vedrà il becco di un quattrino. Vale naturalmente anche per gli operatori statunitensi intenzionati a vendere centinaia di lanciarazzi anticarro Javelin all’esercito ucraino.
Gli Stati Uniti hanno compiuto gesti simbolici non casuali. L’attachée militare dell’ambasciata in Ucraina, colonnello Brittany Stewart, si è recata a pochi chilometri dalla linea di contatto nel Donbas; qui ha anche omaggiato la tomba di un noto appartenente al gruppo paramilitare Pravy Sektor con mostrine inneggianti alla lotta (“Ucraina o morte”). Fumo negli occhi per i decisori politici russi, che nell’ultradestra ucraina vedono irrisi gli sforzi sovietici per sconfiggere le forze nazi-fasciste durante la “Grande guerra patriottica”, ossia la seconda guerra mondiale. Non a caso l’omaggio del colonnello Stewart è stato apprezzato dal battaglione “Azov”, altro gruppo paramilitare d’ispirazione neonazista, che si è detto pronto alla lotta contro l’invasore. Il 12 aprile, Washington ha celebrato in lingua russa sui social network il primo uomo nello spazio (12 aprile 1961) senza citare né l’Unione Sovietica né il cosmonauta Jurij Gagarin, ma con la foto di un astronauta americano. Il direttore generale di Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, Dmitrij Rogózin non l’ha presa bene: «Str*nzi. Le superpotenze non si comportano in questo modo». Ciò che può apparire come un banale e infantile alterco palesa in realtà il grado di tensione tra le due potenze nucleari e l’incapacità (o non-volontà) di comunicare.
La difficoltà a relazionarsi si è resa manifesta anche sulla linea Kiev-Mosca. Lo stesso 12 aprile il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avrebbe espresso il desiderio di sentire al telefono l’omologo russo Vladimir Putin per confrontarsi sul deterioramento della situazione. Ma dal Cremlino hanno fatto sapere di non aver ricevuto alcuna richiesta di contatto. Forse essa stessa è una risposta di per sé eloquente: le decisioni più dirimenti sono già state prese.
In considerazione delle forze dispiegate, l’eventuale intervento russo potrebbe non limitarsi ai territori separatisti del Donbas ma muovere fino al fiume Dnepr, creando un corridoio logistico verso la Crimea e risolvendo contestualmente la grave questione idrica che affligge la penisola. O spingersi addirittura fino al fiume Nistru/Dnestr, ricreando un parziale equilibrio strategico con il blocco euroatlantico.
La corsa a ricreare una nuova cortina di ferro lungo l’istmo d’Europa (la linea più breve e rettilinea tra il Mar Baltico e il Mar Nero, quindi più difendibile per entrambi i rivali; all’incirca l’asse Kaliningrad-Tiraspol) vede in netto vantaggio gli Stati Uniti. Avvalendosi della propria influenza diplomatica e militare, Washington sta compattando tutti paesi dell’Iniziativa dei Tre Mari e scaricando su di essi parte dei costi infrastrutturali necessari per rendere sostenibile il progetto di ripartizione delle sfere di influenza. E lo fa in modo geometrico.
La simmetria della nuova cortina virtuale si appoggia sui due bastioni del fianco orientale: Polonia e Romania. Il nuovo corridoio ferroviario idoneo al trasporto militare Rail2Sea, dal porto baltico di Danzica (Polonia) al porto eusino di Costanza (Romania), correrà parallelo all’istmo europeo. E a una distanza sufficiente da sfuggire all’avanzata strumentazione per la guerra elettronica russa dispiegata nella exclave di Kaliningrad e potenzialmente trasferibile in Transnistria. Nel nord della Polonia (Redzikowo) e nel sud della Romania (Deveselu) sono ubicate le due basi missilistiche della Nato Aegis Ashore in grado di garantire il più ampio scudo alla penisola europea. A Łask (Polonia centrale) e a Câmpia Turzii (Transilvania), ben distanti dalle coste per sfuggire ad attacchi aeronavali, sono situate le basi aeree che in un futuro prossimo acquisiranno preminente rilievo strategico per il fianco orientale dell’Alleanza. La base polacca è stata selezionata per ospitare i moderni caccia F35a Lightning II, mentre quella romena già ospita decine di droni Mq-9 Reape.
La Russia è conscia che per ripristinare un parziale equilibrio strategico con gli Stati Uniti dovrà riguadagnare posizioni sia sul piano geografico/logistico che su quello tecnologico. Implementare in Transnistria le misure già approntate a Kaliningrad – mix di sistemi missilistici ed equipaggiamento per la guerra elettronica – sarebbe un approccio finanziariamente sostenibile e nelle disponibilità immediate. Ma l’emarginazione della regione separatista della Moldova impedisce il trasferimento sulla sponda sinistra del Dnestr dei sistemi Iskander-M e delle efficienti batterie terra-aria S-350 Vityaz (raggio corto), S-400 Triumph (raggio medio), S-500 Prometheus (raggio lungo).
Se l’intelligence militare russa vuol per davvero raggiungere un parziale equilibrio strategico per i decenni a venire, dovrà fare perno sulla Crimea e consolidare una posizione militare/doganale a ridosso della Bessarabia.
Gli Stati Uniti, senza mai ammetterlo, potrebbero accettare una linea di demarcazione informale e condivisa con la Russia sull’istmo d’Europa. Altrimenti perché investire miliardi in infrastrutture destinate a rimanere nelle retrovie? Sarebbe utile a serrare le fila degli alleati e a contenere l’influenza della Germania sul Vecchio continente. Intanto hanno spostato le batterie missilistiche Himars custodite in Germania nella base multinazionale Mihail Kogălniceanu in Romania, come forma di deterrenza verso Mosca. I sistemi terra-terra sarebbero in grado (forse) di colpire l’ultrafortificata Crimea.
L’Ucraina non entrerà nella Nato, malgrado il giro di telefonate e i vertici degli ultimi giorni. Non solo per la difficoltà di ottenere il consenso unanime al suo ingresso tra i paesi membri, ma soprattutto perché sarebbe disfunzionale agli obiettivi degli Stati Uniti. L’attuale partenariato con Kiev permette già a Washington di portare avanti una propria agenda politica nella regione senza la costante e sfiancante ricerca dell’approvazione degli alleati minori.
Inoltre, l’ingresso dell’Ucraina nella Nato sarebbe uno smacco tale per la Russia da forzarla alla guerra aperta contro l’ex-sorella sovietica. Dunque, per l’articolo 5 del Trattato, contro tutti gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica, che sarebbero chiamati alla difesa di Kiev. Un rischio elevatissimo per Mosca, per Kiev, per Washington e per tutti i paesi europei poco o per nulla avvezzi al combattimento.
Anche di fronte alle provocazioni statunitensi, la Russia potrebbe procrastinare l’attacco. Agendo d’anticipo, il Cremlino rischia di tornare a esercitare il ruolo di “cattivo”, che già lo contraddistinse all’epoca della Guerra fredda. Ma l’obiettivo di reintegrare in tutto o in parte l’Ucraina nella propria sfera di influenza permane.
Mirko Mussetti è analista di geopolitica e geostrategia, collabora con Limes, rivista italiana di geopolitica. Ha pubblicato, fra gli altri, Áxeinos! Geopolitica del Mar Nero (goWare, 2018), Némein. L’arte della guerra economica (goWare, 2019) e La rosa geopolitica. Economia, strategia e cultura nelle relazioni internazionali, prefazione di Lucio Caracciolo (Paesi Edizioni 2021).
(mussetti.it, 21 aprile 2021)