di Marina Terragni
Sulla questione della possibile incostituzionalità del disegno di legge in discussione alla Camera abbiamo interpellato la costituzionalista Silvia Niccolai, ordinaria di Diritto costituzionale all’Università di Cagliari che studia da tempo la questione della gestazione per altri.
Il cosiddetto reato universale di surrogazione di maternità potrebbe essere incostituzionale?
Vi sono al contrario buone ragioni per ritenere che si tratti di una soluzione del tutto compatibile col nostro ordinamento costituzionale, cosa che peraltro lascia impregiudicata la valutazione politica sull’opportunità di adottarla.
Quali ragioni?
Anzitutto l’ipotesi della punibilità in Italia per fatti commessi all’estero è prevista in generale dal Codice penale (art. 7) ed è già operante: ad esempio per reati di violenza sessuale e tratta di esseri umani. In questi casi in accordo con convenzioni internazionali, ma la presenza di una previa convenzione internazionale non è richiesta dall’art. 7.
Potrebbe valere anche per la gestazione per altri?
La GPA consiste nella programmata separazione di un bambino dalla madre di parto al momento della nascita e nell’esercizio da parte di adulti di un complesso di poteri nei confronti di una creatura inerme. Per il nostro ordinamento costituzionale, così come per la stragrande maggioranza dei Paesi al mondo e per gli orientamenti di molti organismi internazionali, si tratta di una pratica disumana. Discussioni accademiche sul diritto delle donne di autodeterminarsi e la comprensione verso chi desidera un figlio a ogni costo non devono celare che, nella realtà delle cose, la GPA è commercio di bambini e di status parentali. Data la gravità e la natura del fenomeno vi sono, almeno in linea di principio, i presupposti affinché la legge penale nazionale sia applicata a fatti commessi all’estero come già accade ad esempio per i reati di sfruttamento della prostituzione. In particolare la struttura transfrontaliera del fenomeno, che si realizza con il cosiddetto turismo procreativo, può far apparire ragionevole e proporzionata questa soluzione.
La legge potrebbe colpire retroattivamente anche chi ha già avuto dei figli da utero in affitto?
Evidentemente no. Ogni bambino già nato (anzi già solo concepito, forse già solo commissionato fino al giorno di entrata in vigore della nuova fattispecie) non vedrà i suoi committenti interessati dalle nuove previsioni. Anche successivamente all’eventuale entrata in vigore delle nuove norme la violazione del divieto non avrebbe di per sé ricadute sugli status familiari e/o sui modi di acquisirli: il genitore biologico resterebbe ovviamente tale e quello intenzionale resterebbe tenuto a intraprendere i passi necessari per assumere i propri impegni verso il bambino (oggi: adozione in casi particolari). È innegabile che, di fatto, la consapevolezza di andare incontro a una sanzione potrebbe scoraggiare il genitore intenzionale dal fare questi passi ma l’argomento, come si dice, “prova troppo”. Esso dimentica molte cose: chi intraprendesse la GPA con le nuove norme sarebbe pienamente consapevole delle conseguenze cui va incontro sia verso il bambino sia verso l’ordinamento; lo scopo della nuova legge è scoraggiare le persone a intraprendere la GPA in modo che nessun bambino nasca più da questa pratica. Non esiste alcun diritto a diventare genitori e tanto meno a diventarlo con la GPA. Non ci si può nascondere che il tema dei diritti dei bambini è spesso invocato per legittimare la GPA. Personalmente ritengo che proprio una chiara presa di posizione contro il fenomeno, quale quella rappresentata dalla proposta oggi in discussione, agevolerebbe il legislatore a regolamentare la posizione dei bambini nati da GPA, sviluppando le soluzioni, molto accurate, individuate dalla giurisprudenza.
Non vi è il rischio che la nuova legge sia discriminatoria?
Il divieto già in vigore non discrimina e vale per tutti coloro che fanno ricorso alla GPA indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Come tale non sarebbe discriminatoria la sua estensione.
Questa legge potrebbe riguardare anche le donne che ricorrono a fecondazione eterologa all’estero?
In nessun modo. La donna che intraprende l’eterologa è la stessa che diventerà madre del bambino che nascerà, mentre la madre detta “surrogata” si obbliga a lasciar portare via la creatura che ha partorito. Sono due cose diverse.
E se si trattasse di GPA cosiddetta “altruistica”, senza alcun compenso (casi peraltro rarissimi)?
Come ha chiarito di recente la Corte di Cassazione (sentenza S.U. 28162/2022) il «valore fondamentale della dignità umana» è offeso in ambo i casi, per questo la GPA è vietata dalla nostra legislazione «in qualsiasi forma».
Secondo alcuni è inutile che un singolo stato “universalizzi” il divieto: semmai il governo dovrebbe operare nelle sedi internazionali.
L’una cosa non esclude l’altra. Anzi: è evidente che un divieto universale in Italia rafforzerebbe enormemente la capacità del nostro Paese di operare in modo influente nelle sedi internazionali. Lo testimoniano anche iniziative esistenti per la creazione del reato universale, numerose e senza colore politico: recentemente (Dichiarazione di Casablanca del 6 marzo 2023) un centinaio di firmatari di 76 diversi Paesi ha chiesto agli Stati di «sanzionare le persone che ricorrono alla GPA sul loro territorio; sanzionare i loro cittadini che ricorrono alla GPA al di fuori del loro territorio; adoperarsi per l’adozione di uno strumento giuridico internazionale che porti all’abolizione universale della GPA».
Feministpost, 20 giugno 2023 – (https://feministpost.it/italy/utero-in-affitto-reato-universale-la-sinistra-contro/)