di Giovanna Cifoletti*
Nota della redazione: sì, ma non sempre chi non vota è indifferente.
All’indomani del 27 gennaio 2024 e della presa di posizione di chi ha direttamente subito e superato la Shoah, la senatrice a vita Liliana Segre, il nostro compito è anzitutto darle ascolto. Nel ricevere la laurea honoris causa in storia all’Università Statale di Milano, Segre ha proposto con la sua autorevole semplicità un serissimo programma politico, degno di una lectio magistralis. Anzitutto ha affermato che viviamo in un tempo in cui le è difficile far parte degli ottimisti. Ma non si è fermata qui. Ha detto che quello che sta succedendo e quello che è successo dal 7 ottobre l’ha messa in una condizione che non aveva vissuto prima. In quanto mamma e nonna vede i bambini come un bene preziosissimo. Ora ci sono bambini (di tutte le appartenenze, sottolinea Segre) uccisi per l’odio degli adulti che non si ferma mai, eppure proprio quei bambini sarebbero il futuro di popoli fratelli. «Questo mi ha dato una forma di, quasi di disperazione serale». La notte allora è la notte dell’indifferenza generale. «L’indifferenza è legata al buio delle menti». Indifferenza è la scritta che Segre ha voluto sul muro del memoriale della Shoah di Milano. Ma la stessa indifferenza si traduce oggi nell’astensione dal voto. Ci ha ricordato che il quaranta per cento degli elettori delega agli altri il proprio voto stesso, rinuncia alla democrazia. Così la critica democratica del male non ha voce e grazie all’indifferenza il ciclo delle ingiustizie non si chiude. Eppure la democrazia è costata il sacrificio di tante vite.
La lezione di Segre ci chiede di onorare nella sostanza la memoria degli uccisi. Al di là delle cerimonie, ci invita a prendere sul serio la Shoah non come bandiera identitaria ma come scandalo per l’umanità di tutti. La memoria è necessaria per spingerci a creare le condizioni perché la catastrofe non si ripeta. Le tragedie che tengono sveglia una delle coscienze più profonde del nostro tempo, come tengono svegli molti di noi, devono essere combattute e in futuro evitate. Bisogna allora esercitare i propri diritti democratici pagati duramente dalla sua generazione, primo fra tutti il voto.
Le ragioni dell’astensionismo in Italia sono molteplici. Per le donne esso esprime anche una nuova consapevolezza della distanza tra la politica istituzionale e la società e in particolare delle donne. Oggi poi è comune a uomini e donne la frustrazione rispetto alla legge elettorale, con la constatazione che addirittura milioni di voti vengono dispersi dai premi di maggioranza o che non si possa scegliere di confermare o eliminare un candidato attraverso il voto. Ma per quanto numerose siano le ragioni per non votare, la rinuncia a votare è una rinuncia alla democrazia. E rinunciare alla democrazia non è innocuo, perché lo spazio viene immediatamente riempito dall’ingiustizia e dall’incitamento all’odio, cioè dalla guerra. La guerra e i suoi fautori sono ben svegli e tutt’altro che indifferenti.
Molti aspetti della crisi geopolitica attuale cominciarono nel 2001 e proseguirono con la risposta statunitense all’attacco terroristico delle WTC. Recentemente Biden l’ha ricordata come grave errore da non ripetere, riferendosi alle guerre contro Al Qaida. Ma non bisogna dimenticare l’altro aspetto della risposta statunitense: la politica interna securitaria e la riduzione dei diritti civili. Fino al 2018 l’Europa fu esclusa dalle guerre ma subì in primo luogo il terrorismo diffuso e le relative politiche securitarie e d’altro lato l’immigrazione dai paesi colpiti direttamente dalle guerre. Dopo la pandemia globale, la guerra in Ucraina, poi quella a Gaza e Cisgiordania hanno reso illusori il benessere e la libertà in Europa. Noi Europei non siamo più padroni delle nostre vite: i giovani non sanno se possono fare progetti. I meno giovani stentano a riconoscere le proprie esistenze se paragonate al secondo Novecento. Impoveriti dal finanziamento delle guerre e dal conseguente costo delle energie, abbiamo meno servizi, quindi meno tempo, più preoccupazioni, meno vita politica a causa delle restrizioni dovute al terrorismo. Se si aggiungono i problemi di politica ambientale e la crisi del modello agricolo europeo, il quadro delle necessità si amplia e quello delle risorse a disposizione si restringe. Come uscire da questa impasse? È evidente che chi vuole dominare con la paura ha buon gioco. Eppure l’impasse deriva anzitutto dalla premessa che la guerra sia la soluzione militare dei conflitti, sia necessaria per non avere più paura. O che partecipare alla guerra di altri con le armi in pugno possa risolvere dei problemi. Invece non ne ha mai risolti, solo creati, mentre è la politica a essere necessaria, la libertà politica, premessa della pace come le restrizioni ai diritti politici e la conseguente rinuncia alla democrazia sono premesse delle guerre.
Libertà politica e pace vanno insieme: se si rispettassero i principi della Costituzione non si sottrarrebbe ai cittadini il bene principale, cioè la vita. Quindi si farebbe di tutto per conservare la pace. Ma per realizzare questo ci vuole più partecipazione politica, che invece è resa sempre più marginale dalle restrizioni, dalla politica securitaria interna. La ministra degli esteri del Sudafrica Pandor ha reagito all’ordinanza della corte di giustizia dell’Aja dicendo che essa dimostra che questa corte è uno tra gli strumenti dei popoli per far sentire la loro voce. Pandor ha detto anche che i popoli sanno che per la sopravvivenza del pianeta la violenza deve diventare meno facile, la guerra deve diventare meno facile, e deve essere sostituita dai negoziati. Il ricorso alla violenza e alla guerra, cioè il disprezzo per il diritto internazionale, invece è proprio di chi controlla i popoli e non rispetta i loro diritti, tra cui la libertà politica.
In quanto Europee ed Europei dobbiamo riprendere la consapevolezza che alla fine della Seconda guerra mondiale ci aveva fatto ripudiare la guerra e gli stermini. Perché di questo da sempre continua ad avere bisogno il mondo. È questo impegno che oggi va privilegiato! Ma intanto, in Italia come altrove la partecipazione politica e il voto stesso si è drasticamente ridotto. In realtà è stato un lento processo di costruzione dell’astensionismo. Nel 2001, all’inizio di questa fase geopolitica, in Italia votavamo all’ 82,35%. Ora votiamo al 63,91%. Ciò significa che ha votato un quarto di percentuale di elettori in meno. E si tratta del risultato di una progressione, interrotto soltanto dalla vittoria della sinistra del 2006: 2001: 81,35%; 2006: 84,24%; 2008: 80,63%; 2013: 75,20%; 2018: 72,94; 2022: 63,91%.
Si tratta di votare e di votare contro le armi, le distruzioni, contro l’aggravarsi del clima e alla sussistenza dei popoli proprio a causa delle guerre. Occorre riprendersi il voto. In questo momento, dobbiamo premere sulle elezioni per ottenere una scelta di pace dell’Italia nei confronti dei conflitti in corso, russo-ucraino e israelo-palestinese. Molti Stati investono nelle guerre nel dispregio degli impegni internazionali sulla coesistenza e la mediazione tra sistemi politici. Si tratta di una scelta patriarcale di scontro totale per vincere un nemico e affermare una sola autorità nel mondo. Come madri e nonne sappiamo che le guerre colpiscono i bambini. Come donne sappiamo anche che l’altro che cerca di dominarci non è qualcuno che vogliamo né possiamo eliminare. Sappiamo che la vittoria non è sull’altro, in un meccanismo del duello in cui per vincere bisogna che l’altro perda. La vittoria è il successo di un negoziato utile, di un compromesso accettabile, mentre un’ingiustizia non farà che crearne altre. In tempo di elezioni il nostro desiderio di fare qualcosa per la pace è interrogare chi si propone come rappresentante del nostro futuro sulla risoluzione pacifica dei conflitti, sulla comprensione delle ragioni che lo creano e sulla capacità di privilegiare la soluzione pacifica delle intenzioni dei contendenti, invece di voler vincere rispetto a questioni di principio o far prevalere interessi economici sulle risorse naturali anziché il diritto internazionale. Comprendiamo le motivazioni legittime di russi e di ucraini. All’inizio della guerra molti aderivano alle decisioni di governo, si parlava addirittura di Resistenza. Ma scrissi che non era proprio il caso di ragionare come se bisognasse farla pagare a Putin. Ora Zelenski vuole indietro i suoi seimila profughi, e soprattutto quelli in grado di combattere. Come possiamo considerare democratico un paese che li considera disertori? Ora è pressante la necessità di riconoscere i diritti dei Palestinesi, come è stato riconosciuto lo stato di Israele. Le azioni terroristiche di Hamas non giustificano l’attuale carneficina contro un territorio assediato o occupato da decenni. Il terrorismo va sanzionato ma anche l’espansionismo e l’occupazione militare e coloniale di Israele. Si tratta di azioni che vanno oltre la ferocia, sono frutto della determinazione a non vedere l’altro esistente come tale. Ci si determina a uccidere chi “non c’è”. E la determinazione a uccidere chi “non c’è” non ha limite quando non esiste un limite esterno, come nel caso di Gaza, perché si tratta di un territorio occupato e poi assediato, senza esercito. Perfino in Vietnam c’erano due eserciti. Una tale carneficina di bambini tiene sveglia Segre come molti di noi, ci rende responsabili e impotenti.
Siamo responsabili e impotenti soprattutto perché da almeno alcuni decenni non partecipiamo più. Non riconosciamo affatto l’esigenza di spingere a un conflitto occidentale contro altri Stati e privilegiamo il contenimento delle pretese in favore di un equilibrio complessivo che risparmi vite, beni, ambiente, relazioni internazionali. E per tornare alle parole di Segre direi che le nonne e le mamme devono tornare a votare: tutte le persone che credono che il futuro dell’umanità sta nei bambini e chi se ne sente responsabile deve tornare a votare scegliendo i candidati contro la guerra.
Onorare la memoria della Shoah è fare in modo che le vittime non siano morte invano. Segre ha detto che i recenti avvenimenti la fanno dubitare dell’utilità della propria esistenza. Facciamo in modo che l’esperienza della Seconda guerra mondiale non sia annullata da altre atrocità. E se la generale disumanizzazione non basta, si pensi agli insostenibili costi economici e ambientali della guerra. Passare dalla carestia politica e morale a quella fisica per esaurimento delle risorse del pianeta? Forse ce lo meritiamo, ma almeno se l’abbiamo capito facciamo di tutto per evitarlo. In questo non faremo che applicare il nostro patrimonio culturale, la Costituzione italiana.
(*) Giovanna Cifoletti è docente presso la EHESS (École de Hautes Études en Sciences Sociales) di Parigi e fa parte dei Disarmisti esigenti.
(noidonne.org, 29 gennaio 2024)