di Donatella Di Cesare
Gira ormai perfino uno spot ministeriale in cui una voce dal tono mellifluo invita a modificare le abitudini per risparmiare energia. Spegnere, staccare, ridurre. Finché poi, di misura in misura, si era arrivati persino all’ipotesi di limitare l’orario scolastico depennando il sabato. Tanto che male c’è? Meno scuola e più armi!
È impressionante la rapidità con cui, nell’arco di pochi mesi, non solo si è imposta come nulla fosse una guerra nel cuore dell’Europa, ma si è inculcata l’idea che per questo sia necessario accettare ogni sorta di sacrifici, anche quelli che minano dal fondo la vita di ciascuno, soprattutto dei più fragili ed esposti. Questa nuova edizione dell’ideologia del sacrificio viene spacciata come mezzo indispensabile per affrontare il disastro imminente: inflazione, crisi energetica, deindustrializzazione, recessione… Il disastro si annunciava già durante la pandemia, da cui – secondo le promesse – saremmo tuttavia dovuti uscire. Mentre la pandemia purtroppo prosegue, la guerra ha segnato l’incipit della catastrofe europea. Sennonché tra le due c’è una bella differenza: se nel flagello della pandemia non mancano le responsabilità umane, la guerra è a tutti gli effetti un evento politico che in nessun modo può essere considerato una calamità naturale, una sciagura fatale e inesorabile.
In questa campagna elettorale il tema, a parte rare eccezioni, viene passato sotto silenzio non solo per l’imbarazzo degli schieramenti, dettato da ragioni opportunistiche diverse, ma soprattutto perché si vuole far passare per ovvio e scontato l’evento bellico. Il che, peraltro, è avvenuto sin dall’inizio. L’attenzione è tutta concentrata sul modo in cui pagare, o meglio, far pagare i costi della guerra. Non si parla invece del modo in cui fermare la guerra. Si dirige lo sguardo sugli effetti, quasi che fossero appunto ineluttabili, e lo si distoglie dalla causa. Il silenzio dei partiti, dunque, non è innocente.
D’altronde nella dirigenza europea le cose non vanno meglio. Alla grottesca boutade di Emmanuel Macron, che ha dichiarato “la fine dell’abbondanza”, si affiancano i proclami patriottici degli altri leader europei che invitano a serrare i ranghi per difendere la “democrazia occidentale” contro l’“autocrazia russa”, preservandola, anzi, da ogni possibile contaminazione di spie e controspie. Che sarà mai, al confronto, la vita di milioni di persone che vanno incontro a terribili danni? Non c’è forse mai stata una tale eclatante ipocrisia nella storia recente della politica europea. E così si può almeno sperare che, nonostante il martellamento propagandistico, questa narrazione alla fine tenga.
Ma dietro tutto ciò si deve scorgere un punto decisivo: l’ideologia del sacrificio richiesta ai cittadini europei è strettamente connessa alla necropolitica che nella guerra d’Ucraina s’impone ogni giorno da una parte e dall’altra del fronte. Una politica incapace di svolgere il proprio ruolo, di mediare per risolvere il conflitto, lascia il posto alle armi, abdica alla violenza, chiede il sacrificio di vittime, sia militari che civili. Così si rivela una necropolitica, cioè una politica che richiede la morte dei propri cittadini, la pretende subdolamente ammantandola di slogan sciovinistici e riprove di fatalità. Nella stessa maniera vengono sacrificate le vite di coloro che, per quanto lontani dalle retrovie, sono comunque colpiti dal conflitto, e cioè quei i cittadini europei che pagheranno sulla propria pelle la catastrofe – un prezzo tanto maggiore quanto più si è vulnerabili. La biopolitica democratica, il cui programma è proteggere anche nel corpo la popolazione (vedi pandemia), può così trasformarsi inquietantemente in politica del sacrificio, che espone la vita, pretende di immolarla.
In tale contesto è interessante notare che gli Stati Uniti si mantengono al di fuori, quasi fossero un santuario, un territorio sacro, non sacrificabile. L’inflazione, a ben guardare contenuta, non comporta certo le conseguenze devastanti a cui sono sottoposti i Paesi d’oltreatlantico. Al contrario l’Europa è destinata a essere territorio della catastrofe. Complici di questo sono i dirigenti europei, ferventi atlantisti, tra visceralità ideologica, avventurismo insano, sete di profitti e inettitudine diplomatica. Le vite prese in mezzo verranno immolate in forme e modalità diverse, sacrificate con disinvoltura.
Lo scenario di questa nuova guerra mondiale mostra con chiarezza che quelle élite, che si autoproclamano “democratiche”, per contrapporsi nettamente alle derive autoritarie e totalitarie, hanno ben poco a cuore la vita della propria popolazione la quale, ai loro occhi, va perdendo sempre più valore. Ormai il “far vivere” della biopolitica classica è facoltativo e a geometria variabile. Sarebbe da sonnambuli non vedere il peggio che viene.
(Il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2022)