di Franca Fortunato
Oggi [sabato 5 novembre ’22, Ndr] mi unirò alla manifestazione promossa dall’associazione “Europe for Peace” per chiedere che in Ucraina tacciano subito le armi e si apra un negoziato di pace per scongiurare il pericolo di una guerra nucleare. Mi unirò sventolando la bandiera della pace, che sta sul mio balcone dall’inizio della guerra. Dopo otto mesi di distruzione e morte, di invio di armi e sanzioni, passo dopo passo, ci hanno portato sull’orlo di una guerra nucleare. A chi vuole continuare la guerra fino all’annientamento del nemico, ricordo che quella a cui andremmo incontro non sarà la continuazione di quella che abbiamo visto fino ad oggi. La sola possibilità di una guerra nucleare, che, irresponsabilmente, nessuno esclude, cambia anche questa in corso. Qualsiasi ragione di chi è stato invaso, qualsiasi ideale di libertà o “valore” occidentale, diventa debole, molto debole, a fronte della catastrofe che ne potrebbe seguire. È questa la consapevolezza collettiva che accompagna la manifestazione e che si sta facendo strada in tutti i Paesi occidentali. Il giorno dopo un’eventuale guerra nucleare non ci saranno più terre da contendersi, da invadere e difendere, non ci saranno ucraini da aiutare e russi da sanzionare, non ci saranno “valori” da affermare e culture da bandire, ma solo distruzione e morte, terra sterile e aria avvelenata. La paura di una guerra nucleare ha accompagnato donne e anche uomini per tutta la storia della Repubblica, quando erano ancora vive nella memoria collettiva le immagini delle bombe atomiche sganciate dagli Usa su Hiroshima e Nagasaki. Quella paura, oggi, è tornata in un mondo il cui arsenale nucleare è tale da poter disintegrare l’intero pianeta e ogni essere vivente. Sale in Europa la richiesta di mettere al bando tali armi nel mentre gli Usa si preparano, a fine anno, a schierare in Italia, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Turchia e Grecia, 150 bombe nucleari di ultima generazione. «Dove ci conduce il corteo dei figli degli uomini colti?» Era la domanda, presa da Virginia Woolf, che rivolgevo alle donne all’inizio di questa guerra. La risposta ora c’è: ci conduce alla guerra nucleare. Alessandra Bocchetti, una femminista della differenza, negli anni ’80 di fronte all’orrore di una guerra nucleare, con sapienza ha argomentato come solo gli uomini potevano pensare, inventare, costruire un’arma che mette in pericolo la sopravvivenza sulla terra, portandone tutta la responsabilità di una tale eventuale guerra e delle sue atroci conseguenze. «Una donna – scrisse –, almeno per come sono le donne fino a oggi, non avrebbe mai potuto dimenticare che in un posto di questo pianeta c’è anche la sua casa, non avrebbe mai potuto dimenticare il suo corpo tra gli altri, quindi non avrebbe potuto immaginare una guerra dove non vince nessuno». È triste pensare che oggi, che una tale orribile eventualità è reale, ci siano donne che si stanno rendendo corresponsabili mentre altrove altre continuano l’opera materna, faticando e lottando per la vita e non per la morte, per la libertà loro e di tutte/i. Donne che stanno all’apice delle istituzioni europee, di Stati e Parlamenti e anche dentro partiti, esiliate dal pensiero delle proprie simili e dalla propria storia, non sanno riconoscere e dare senso alla loro differenza. Donne belliciste, dimentiche della potenza materna di dare la vita, delle lotte delle madri per permetterci di andare ovunque, dei loro sacrifici per darci una vita migliore della loro. Il bellicismo è la morte della madre, della donna. La pace è la vita, è la madre, e nessuna donna dovrebbe allontanarsene, per non perdere se stessa.
(Il Quotidiano del Sud, 5 novembre 2022)