di Rita Baroud
Oggi il cielo è grigio e non per le nuvole invernali o per la brina, ma per la cenere e le macerie. Gli aerei israeliani volano bassi, fendendo l’aria con suoni terribili sembrano volerci ricordare che la morte è vicina. Le strade sono quasi vuote, e i pochi che si vedono guardano il cielo con volti tesi e pieni di paura preparandosi per qualcosa che potrebbe sorprenderli da un momento all’altro.
Macerie umane
Dopo un anno di distruzione, ci sono solo i resti di quelli che prima erano esseri umani.
Quando mi guardo allo specchio, sul mio volto vedo i segni lasciati giorno dopo giorno da questo lungo conflitto. I miei capelli cadono, mi abbandonano a poco a poco. Sono diventati grigi quasi a riflettere tutto il dolore e la tristezza che ho visto: è come se in un anno fossi invecchiata di quaranta, ogni capello grigio racconta la storia di una notte insonne.
Adesso peso 44 chilogrammi, sono l’ombra della vecchia me e ho un corpo che a malapena resiste contro il vento. Mi sento leggera, ma non con la leggerezza della libertà – piuttosto, la leggerezza di chi non ha più certezze, un vuoto che mi lascia sospesa tra il cielo e la terra. Ogni chilo che ho perso era parte di una forza che una volta pensavo fosse permanente, ma che invece si è sgretolata sotto il peso dell’ansia e della costante ricerca di un posto sicuro.
La memoria e l’oblio
Ottobre per Gaza ha segnato la fine dei sogni e l’inizio di un viaggio forzato.
La mia mente è come un disco rotto: conserva ogni dettaglio dei miei spostamenti, ma non riesco più a ricordare com’era la vita prima del 7 ottobre. Ho dimenticato l’indirizzo della mia casa andata distrutta, il francese imparato alle lezioni universitarie, il profumo del cibo che mia madre mi preparava. E me stessa. Ricordo solo le volte in cui ho dovuto cambiare riparo: quattordici volte. E le lacrime versate quando la mia amica Sarah è stata uccisa: la sua assenza ha lasciato un vuoto nella mia vita.
Rammento l’ultimo saluto a Ruba, a mio fratello Ilya e mia nonna quando sono riusciti a mettersi in salvo fuggendo da Gaza. Indelebile il momento in cui siamo fuggiti mentre i carri armati erano a pochi metri di distanza e sparavano a caso sulla gente. Siamo scappati nel bel mezzo della notte per le strade buie. Correvamo senza una direzione chiara, cercando qualsiasi rifugio che potesse proteggerci dai missili che cadevano come una pioggia fitta. Il suono degli aerei era implacabile, l’aria piena dell’odore del fumo, e non c’era niente che potessimo fare se non continuare a correre. La mia memoria è piena di quell’odore di cenere che impregnava l’aria quando la mia casa è stata colpita ed è stata divorata dal fuoco.
La vita e la morte
La cosa peggiore che ho visto è stato l’incontro tra la vita e la morte, quando i lamenti dei vivi si mescolavano con i volti immobili. Ho visto i bambini urlare, le loro voci che si affievolivano sotto le macerie delle case che crollavano. Ero presente quando un’intera famiglia è stata tirata fuori dalle macerie con negli occhi quel vuoto, quell’incapacità di piangere, come se il dolore avesse superato i limiti e le lacrime non fossero più sufficienti.
La cosa peggiore è stata vedere lo sguardo di chi non capisce il senso di quello che succede. I momenti peggiori sono stati quelli in cui mi sono sentita impotente, quando il cibo scarseggiava, quando l’acqua era appena sufficiente per il giorno dopo. Ricordo il volto stanco di mia madre, i suoi occhi parlavano più delle parole che non riusciva a dire, e quei suoni come un grido di vita che sfidava la morte. I momenti peggiori non arrivano improvvisamente ma si insinuano, accumulandosi nelle profondità della mia anima fino a schiacciarla completamente.
La cenere
Sono diventata un cumulo di macerie e non perché ho perso tutto, ma perché porto nella mia memoria i resti dei volti di coloro che se ne sono andati, delle parole non dette, di risate che non sono mai arrivate alla fine. Sono quello che rimane di una sorella che prometteva ai suoi fratelli giorni sicuri, di una ragazza che sognava di studiare e lavorare, di una bambina che sorrideva alla vista del mare, quando il mondo sembrava molto più lungo. Oggi, quando mi guardo allo specchio, vedo degli occhi carichi di ricordi, occhi mostrano tutto ciò che hanno vissuto. Sono i resti di una persona che cerca di sopravvivere.
Pensare al futuro a Gaza
Il futuro è una pagina bianca, una pagina in attesa, da scrivere. Ma nel profondo la speranza si mescola alla paura. Il futuro sembra nebbioso, come una strada tortuosa tra colline che nasconde la sua destinazione finale. Provo a disegnarne un’immagine, ma cambia colore, trasformandosi ogni giorno, a volte ogni ora. Sembra che il futuro porti con sé gli stessi pesanti fardelli, le stesse lotte, le stesse ombre che oscurano il sole. E temo che sarà solo un’altra versione dei giorni che stiamo vivendo ora: pieno di perdite, sfollamenti e sempre alla ricerca di un posto sicuro.
(la Repubblica, 8 ottobre 2024)