di Francesca Luci
Settembre 2022. Da anni la società iraniana vive delusione e amarezza. La pesante pressione delle sanzioni economiche occidentali, l’alto costo della vita e l’inflazione, insieme a un potere statale oppressivo che nega libertà e dissenso, provocano una depressione nazionale, una diffusa stanchezza e una passività collettiva.
La speranza di rilanciare l’accordo sul nucleare è ai minimi quando, il 13 settembre, una giovane donna viene fermata a Teheran per non aver rispettato il copricapo islamico. Tre giorni dopo, il 16, Mahsa Amini muore mentre è ancora in custodia dei servizi di sicurezza. La tragedia risveglia la rabbia repressa della società, ridando voce a corpi un tempo silenziosi.
Le donne, represse per anni all’ombra dell’umiliazione, diventano la forza di cambiamento, trascinando in piazza migliaia di ragazze e ragazzi, donne e uomini, riuniti in una solidarietà nazionale in tutte le città dell’Iran e tra gli iraniani nel mondo. Il potere reagisce con una repressione brutale su vasta scala. In pochi mesi, il movimento «Donna Vita Libertà» paga un pesantissimo tributo in termini di vite umane: secondo alcune stime 550 persone, tra cui 68 bambine, vengono uccise.
Le manifestazioni diminuiscono con il passare dei mesi, ma le proteste assumono la forma di disobbedienza civile: boicottaggi di eventi governativi, proteste simboliche, rifiuto di pagare le nuove tasse e mancanza di collaborazione. Intanto giovani ragazze continuano a mostrarsi pubblicamente senza copricapo, sfidando i mille controlli e rendendo di fatto irreversibile in pratica un diritto che il governo rifiuta di riconoscere. La nuova legge proposta dal governo conservatore nel 2022 sul copricapo delle donne viene bloccata in un ping pong tra il parlamento e il Consiglio dei Guardiani.
Oggi, due anni dopo, il sistema subisce un forte choc dopo che la maggioranza della popolazione diserta le urne delle elezioni parlamentari del primo marzo 2024, segnando la percentuale di partecipazione più bassa della storia della Repubblica islamica. La nomenclatura ha la conferma di non avere più l’appoggio della maggioranza delle classi sociali su cui aveva costruito il suo potere. La morte del presidente conservatore Raisi, a maggio, dà la possibilità al regime di ricorrere a ripari abbandonando il piano di uniformare politicamente il paese e aprendo alla formazione di un governo riformista.
Secondo molti analisti iraniani, l’apertura del sistema a i riformisti è un effetto diretto del movimento cominciato due anni fa che ha avuto il merito di mettere in luce una frattura profonda tra la popolazione e il potere. Un passo avanti, anche se dall’insediamento del moderato Pezeshkian, avvenuto il 28 giugno di quest’anno, non ci sono stati segni di sensibile cambiamento percepiti dalla popolazione.
Tuttavia, si nota un maggior cambiamento nella politica estera del paese. La mancata (per ora) ritorsione promessa dalla Repubblica islamica in risposta all’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, eseguita da Israele secondo molti osservatori, è considerata il primo risultato del governo Pezeshkian.
L’apertura dei negoziati sul nucleare per rimuovere le sanzioni e migliorare la situazione economica del paese rimane l’obiettivo centrale del governo iraniano, anche se emergono segnali contrastanti. La fornitura di 200 missili balistici alla Russia non sembra allinearsi al tentativo di ridurre le tensioni con l’Occidente, anche se l’Iran l’ha smentita.
Perseguendo la nuova politica estera, Pezeshkian – dopo la sua prima visita ufficiale a Baghdad l’11 settembre – è diventato il primo presidente iraniano a visitare il Kurdistan iracheno. La storica visita, con incontri a Erbil e Sulaimaniyah, ha cercato di bilanciare le relazioni con i due partiti curdi al potere e segna un miglioramento nelle relazioni, a meno di un anno dall’attacco iraniano contro presunti obiettivi israeliani a Erbil.
Per capire la prossima mossa di Pezeshkian per riavviare i colloqui sul nucleare con l’Occidente, bisognerà attendere la fine di settembre quando farà la sua prima apparizione internazionale all’Assemblea generale dell’Onu. Nel frattempo, la popolazione iraniana resta in attesa dei miglioramenti economici e sociali promessi dal nuovo presidente.
(il manifesto, 15 settembre 2024)