di Elisa Messina
Non ama il glamour e il divismo, Frances McDormand. Anzi, se ne fa beffa. Da sempre. Lo si è visto bene nella notte degli Oscar 2021 che le ha consegnato, a 63 anni, la terza statuetta della sua carriera come miglior attrice per il film «Nomadland» della regista cinese Chloe Zhao, pellicola che ha trionfato vincendo anche come miglior film (di cui Mc Dormand è co-produttrice) e miglior regia. Certo, un’edizione “dimessa” questa degli Oscar 2021, limitata da restrizioni e distanziamenti, in un’America provata dalla pandemia e dove i cinema sono rimasti chiusi per mesi e mesi. In nome di un ritorno alla “normalità” non si è voluto rinunciare al consueto red carpet (in versione statica) degli ospiti, ovvero la celebrazione più alta del glamour e del divismo hollywodiano. Ma nella notte che ha consacrato il «girl power» McDormand (e non solo lei) si è presa la sua bella rivincita su quel glamour e sui suoi diktat.
Il discorso e «l’ululato» di ringraziamento
McDormand ha vinto per la sua interpretazione di Fern in «Nomadland», una sessantenne che durante la grande recessione sceglie, come altri americani disperati, di vivere da nomade, alloggiando in un van e facendo lavori saltuari. Nel suo discorso di ringraziamento ha citato il Macbeth «Non ho parole: la mia voce è nella mia spada» e poi, con parole sue: «Sappiamo che la spada è il nostro lavoro e a me piace il lavoro, grazie per averlo riconosciuto e grazie per questo». Ma quello che tutti ricorderanno negli anni a venire sarà il suo ululato di ringraziamento dopo aver detto, brandendo la statuetta vinta da «Nomadland», «questo lo diamo al nostro lupo». Un vero ululato alla luna che sarebbe già pronto a diventare un meme se non nascesse da un dramma: era un omaggio a Michael Wolf Snyder, tecnico del suono del film, morto suicida quest’anno.
Spettinata in abito da sera
C’è un altro dettaglio che vale la pena sottolineare della notte degli Oscar “interpretata” da McDormand: il suo look. Abito da sera nero lineare, con il solo vezzo delle piume di struzzo agli orli delle maniche e nessun tentativo di hairstyling, anzi: una forcina infilata alla buona rivelava la ricrescita sulle tempie. Ecco il bello, anzi la bellezza di questa antidiva: mostrandosi semplicemente com’è ci dice che la notte degli Oscar non vale una messa in piega. E che sono altre le cose importanti a cui prestare attenzione: è il suo grido di speranza lanciato sul palco per tornare quanto prima possibile al cinema “shoulder to shoulder” spalla a spalla, è questo film corale che è stato celebrato in modo corale anche nella vittoria, con attrici, attori produttrice e regista insieme sul palco.
«McDormand, una di noi»
«Frances McDormand è una di noi» si leggeva stamattina sui social da una parte all’altra dell’Oceano. Perché grazie a quella chioma scombinata ha ricordato che un anno di isolamento e di pandemia ha segnato tutte le donne anche in certe piccole cose come tingere i capelli: sia una scelta per stare bene con se stesse e non un obbligo dettato da canoni di bellezza e di apparenza, dalla paura di invecchiare, dal timore del giudizio degli altri.
Ci piace la spettinata (e scolorita) McDormand come ci piacciono le trecce della sua regista, ChloeZao, arrivata alla serata degli Oscar con le sneaker. Come ci piace Laura Pausini elegantissima e perfetta in Valentino. Se c’è una nuova vincitrice in questa edizione degli Academy Awards è la libertà delle donne di apparire finalmente come vogliono (sì, quella che gli uomini hanno sempre avuto) senza essere giudicate inappropriate.
Quel discorso del 2018
Nel caso di Frances McDormand nessuno stupore, lo abbiamo detto: è una tosta, un’antidiva da sempre, detesta lo star system, tutto quello che si porta dietro compresi red carpet e interviste. I suoi gesti sono potenti e restano. Nell’edizione 2018, sembra una vita fa ma sono solo tre anni, brandendo il suo secondo Oscar per «Tre manifesti a Ebbing, Missouri», pronunciò un memorabile discorso femminista rivolto a tutte le lavoratrici dello spettacolo e ricordando «l’inclusion rider», la clausola contrattuale che obbliga le produzioni a non fare discriminazioni di genere. Le ospiti in sala si alzarono tutte in piedi e Meryl Streep applaudiva con le lacrime agli occhi. Stanotte si è portata a casa la sua terza statuetta, eguagliando per l’appunto Meryl Streep e Ingrid Bergman (ne manca solo una per raggiungere Katharine Hepburn che detiene il primato sia per gli uomini che per le donne). E ancora una volta Mc Dormand ha usato quel palco e se stessa per ricordarci cosa conta davvero: sorellanza, lavoro, riconoscenza. Tutto il resto sono fronzoli graziosi.
(Corriere della Sera, 26 aprile 2021)