di Lucia Capuzzi
Eran Etzion, ex vice-direttore del Consiglio di sicurezza israeliano: «Nessuno sa cosa stia accadendo nel nord di Gaza: i media hanno accesso limitato per raccontarlo. Il che mi preoccupa»
«Se sei un soldato o un ufficiale, un coscritto, un professionista o un riservista, sei obbligato a rifiutarti di prendere parte a qualsiasi azione che rappresenti un crimine di guerra». Può sembrare quasi un’ovvietà. Se, però, a scriverlo e pubblicarlo su Twitter, il 22 ottobre, è Eran Etzion, il messaggio acquista una forza dirompente. Lo confermano le oltre 820mila visualizzazioni ricevute dal post solo nell’arco di una settimana. E gli strali dell’ultra-destra. Diplomatico ed esperto di strategia militare, Etzion è stato il vice-direttore del Consiglio di sicurezza nazionale tra il 2000 e il 2008. Tra il 2004 e il 2006 il suo capo era il generale Giora Eiland, l’autore del cosiddetto “Piano dei generali” che prevede l’evacuazione di tutti i civili del nord di Gaza mediante l’interruzione degli aiuti umanitari in modo da aumentare la pressione su Hamas. «Una proposta illegale poiché esorta ad “affamare” la popolazione e non assicura soccorsi adeguati per gli sfollati. Potrebbe costituire un crimine di guerra. Ecco perché io e molti altri siamo fermamente contrari», afferma Eran Etzion. Eppure tanti sospettano che l’operazione israeliana nei campi di Jabalia, Beit Lanoun e Beint Lahiya rappresenti l’esecuzione del piano, nonostante le rassicurazioni date agli Usa dal ministro della Difesa Yoav Gallant e dal premier Benjamin Netanyahu.
Il dubbio ha qualche fondamento?
Il premier lo ha negato nella riunione privata con il segretario di Stato Usa Antony Blinken. Quando, però, quest’ultimo gli ha chiesto di ripetere pubblicamente tale affermazione, Benjamin Netanyahu ha rifiutato. L’altro giorno, poi, Amit Segal, giornalista televisivo tra i più noti e più vicini al governo, ha detto, di fronte alle telecamere, che il piano è in marcia: si starebbe implementando la fase 1. Direi che qualche fondamento, dunque, il sospetto ce l’ha.
Che cosa sta accadendo nel nord di Gaza?
Non lo so, come non lo sa la gran parte dei cittadini. È proprio questo il problema. Non sappiamo quanto stia accadendo poiché i media hanno accesso limitato per raccontarlo. Il che mi preoccupa. Vorrei essere sicuro che i soldati israeliani stiano combattendo secondo le regole del diritto nazionale e internazionale.
Se i militari dovessero ritenere di no, potrebbero rifiutare di obbedire agli ordini?
Non solo possono, devono farlo. È la legge israeliana. C’è una decisione cruciale di una corte militare speciale del 1956: afferma che quando un soldato riceve un comando palesemente illegale – come una bandiera nera sventolata sulla sua testa, così si legge nel testo – ha l’obbligo di rifiutare. Da allora “bandiera nera” è sinonimo di ordine illegale.
Quanto sta accadendo nel nord della Striscia potrebbe essere una “bandiera nera”?
Potrebbe. Tocca a ogni militare sul campo valutare. Noi non possiamo farlo perché non ci è permesso di avere sufficienti elementi. Il punto è che da oltre un anno le autorità israeliane non consentono ai giornalisti, nazionali e stranieri, di entrare a Gaza se non alcuni a cui è consentita una breve incursione embedded. Un fatto inedito rispetto alle guerre recenti.
Qualcuno definisce la procedura illegittima.
Non so se sia illegittima. Ritengo, però, necessaria la presenza dei giornalisti se fattibile dal punto di vista operativo.
Ha senso proseguire la guerra?
Il conflitto sarebbe dovuto finire parecchio tempo fa. Almeno a maggio quando c’era una concreta possibilità di accordo che Netanyahu ha fatto naufragare ponendo più e più condizioni aggiuntive. Le ragioni per continuarlo non sono di tipo strategico o di sicurezza nazionale bensì riguardano gli interessi personali e politici del premier. È lui il maggior ostacolo per il raggiungimento di un’intesa a cui è favorevole il 70 per cento degli israeliani.
Potrebbe cambiare qualcosa da domani con il voto Usa?
Molto dipende da chi vincerà. Il ritorno di Trump sarebbe un disastro, non solo per Israele.
E Harris?
Non ha la bacchetta magica ma avrebbe maggiore libertà di manovra di Biden e aumentare le pressioni su Netanyahu.
Pensa all’interruzione dei rifornimenti di armi?
Spero non si debba arrivare a tanto. Forse sarebbe sufficiente che Netanyahu sentisse di avere meno margini con Washington.
E se i militari in massa decidessero di non obbedire agli ordini potrebbero fermare la guerra?
Difficile da dire. Sarebbe un caso estremo. Ma del resto siamo in una situazione estrema.
(Avvenire, 4 novembre 2024)