6 Gennaio 2025
il manifesto

Le città e quei dolori lasciati fuori dal cancello

di Valeria Parrella


È che noi abbiamo visto a Roma, alla stazione Ostiense, le panche in marmo da cui affiorano cilindri di acciaio, così che non ci si possa stendere su. E ci ricordiamo il vicesindaco di Trieste che si vantava di aver gettato gli abiti dei senza fissa dimora.

Addirittura ci ricordiamo di quando la Villa Comunale di Napoli era aperta, cioè con il suo impianto originario di passeggiata a mare, come ricordiamo quando nel 1999 fu commissionata all’atelier Mendini una cancellata, una “cancellata” con dei cancelli chiusi, cioè non a delimitarne l’area, ma proprio a chiuderla.

Così le notizie che si richiamano dai due capi d’Italia all’inizio del nuovo anno, due notizie gemelle, di due città capitali un tempo e metropolitane ora, ci fanno riaffiorare i ricordi. Una viene da Torino, sorge da una protesta di cittadini e commercianti della circoscrizione 1, che denunciano l’incuria dei porticati dove dormono i senza fissa dimora – dentro degli scatoloni, dormono (attenzione, le chiamano “casette di cartone”: sono scatoloni, pacchi) – L’azienda municipale prende provvedimenti.

L’altra viene da Napoli: la Galleria Umberto verrà chiusa, durante la notte, con dei cancelli appositamente commissionati a un artista per novecentomila euro.

Per motivi di opportunità, si legge, per garantire sicurezza e decoro ai cittadini, si intende quelli per bene, i residenti, quelli che hanno voce nel capitolo della città, che non hanno vergogna a denunciare l’altro, anche se l’altro è l’ultimo della terra, che si sentono più cittadini degli altri. Quelli a cui arriva la tessera elettorale.

C’è una foto della nostra bella Galleria ancora aperta: si vede la prospettiva marmorea, l’occhio di vetro lì in alto, poi, sulla sinistra un monomarca di prodotti per l’estetica e a destra, in primo piano, appoggiato a una vetrina, un ragazzo seduto su delle coperte di lana, con un cappuccio sulla testa. Al centro della galleria: mandrie di turisti inebetiti. Chissà perché quel ragazzo sta seduto lì invece di star seduto a uno dei tavolini di cui è pieno l’altro braccio della galleria. Chissà perché i senza fissa dimora nella notte torinese fanno pipì sotto i portici in corso Vinzaglio e non nei gabinetti delle loro tiepide case.

Ecco, questa avanzata trionfante del denaro, questo arretrare precipitoso della pietas mettono la politica difronte a un obbligo: devi avere un’idea di come vuoi che sia la tua città. Cosa farsene di un problema, come guardarlo, dove puntare il dito per iniziare a risolverlo e le risposte che ne nascono: in politica è tutto. Il Ministro Piantedosi del resto queste due parole, decoro e sicurezza, se le è rigirate spesso in bocca proprio a capodanno, le ha utilizzate come un grimaldello – e così i governatori locali – per allontanare i dolori dal centro delle città, per marginalizzare i marginali. Diceva bene De Vito da queste pagine: ci sveglieremo dalle zone rosse e vedremo i volti di chi è fuori dal recinto «le vittime della crescita diseguale delle città».

Che sconfitta chiudere le nostre città aperte.


(il manifesto, 6 gennaio 2025)

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