di Donatella Di Cesare
Metsola consegna la bandiera europea a Zelensky. Il presidente ucraino ha appena terminato di tenere al Parlamento europeo il suo discorso, come sempre abile ed efficace. Questa volta, però, compie un passo ulteriore: non si limita a dire che gli ucraini stanno combattendo per difendere i valori europei, ma sostiene addirittura che è in gioco “il destino dell’Europa”. Nessuna espressione poteva meglio segnalare quel che ormai è un dato di fatto: il coinvolgimento totale dell’Ue nel conflitto. Non è tanto l’Ucraina a entrare nell’Europa, quanto l’Europa a entrare in guerra. Un unico destino, un’unica lotta, un unico nemico. D’altronde la presidente Metsola, che ha promesso un “processo di rapida annessione”, si è spinta a evocare una “minaccia esistenziale” che incomberebbe sul vecchio continente. Ha terminato con il solito slogan “guerra significa pace” e l’immancabile urlo bellico Slava Ukraïni!
Che dire di fronte a questo spettacolo? Nella guerra siamo già pienamente coinvolti, l’ha ammesso perfino la premier Meloni. C’è da chiedersi quale limite si deve superare per l’entrata formale in guerra. Il continuum dell’escalation sembra inarrestabile e le armi diventano ormai jet e missili a lungo raggio. A partire da quando si deve usare il termine “guerra”? Se c’è chi parla di una vittoria che deve diventare realtà, qui si deve in effetti già constatare una sconfitta annunciata di tutti. La responsabilità dell’attuale dirigenza europea e di chi detiene in questo momento le leve del potere passerà alla storia. E in tutto questo si deve ammettere non solo che l’Europa si è suicidata, ma che il progetto europeo, così come in tanti lo avevamo auspicato, è fallito. E in modo irreversibile. L’Europa ha tradito se stessa e la propria missione, ha deluso e, per certi versi ingannato i propri cittadini. L’Ue avrebbe dovuto stare accanto al popolo ucraino non assecondando la guerra, non inviando armi, ma mantenendo dall’inizio quel ruolo terzo, quella funzione diplomatica, che sarebbe stata indispensabile. A distanza ormai di un anno ne avvertiamo tutta l’assenza e percepiamo sempre più distintamente la subalternità completa agli Stati Uniti. Errori erano stati già commessi prima, quando era stata accettata l’invasione della Crimea, quando erano stati trascurati gli accordi di Minsk. Adesso non si tratta, però, di semplici errori, bensì di una virata completa, un’inversione di rotta. La nuova unione delle armi è la marcia verso la disgregazione delle piccole patrie interne e l’isolamento del Vecchio continente, coinvolto in un conflitto imponderabile con la Russia. Da cittadina e da filosofa ho sempre difeso l’idea di Europa, anche nelle circostanze più abiette e imbarazzanti. Chi può dimenticare lo scempio che è stato perpetrato in Grecia? Quando la Troika ha imposto misure draconiane sarebbe bastata una somma accettabile per salvare vite umane che sono state invece sacrificate sull’altare dell’austerità. Sono morti di stenti e di fame anziani, donne, bambini. Allora non c’erano i soldi per gli aiuti, oggi ci sono per le armi. Sotto i peggiori auspici è cominciato il nuovo secolo per l’Europa. Ma in molti abbiamo creduto che la catastrofe greca fosse un capitolo osceno che avrebbe potuto essere presto chiuso per riprendere il cammino. Poi, però, le cose non sono andate meglio. Il 2015 è stato l’anno della crisi migratoria. La Germania di Merkel ha aperto le porte ai siriani, ma ha insieme firmato un accordo con Erdoğan: miliardi per i grandi campi profughi. Non parliamo poi dell’Italia e dei suoi scellerati accordi con la Libia a firma Minniti. Violazione dei diritti umani, morti in mare, criminalizzazione delle Ong. Anche qui le cose sono peggiorate costantemente. E oggi si annuncia la costruzione di muri in stile americano per impedire l’ingresso dei migranti.
C’erano molte cose che legavano gli europei: il ribrezzo per una violenza sfrenata, una certa idea di cura e sostegno dell’altro, quel senso di umanità che viene dalla cultura, ma anche da una storia tragica. Tutto questo era la nostra preziosa, impareggiabile, Europa, che sembra perduta. Non è stata seguita la politica della solidarietà e della cura reciproca, ma solo quella delle sanzioni e delle armi sulla pelle dei più deboli. Forse la retriva Polonia sarà guida e traino di un continente subalterno e allo sbando. Certo gli equilibri sono cambiati in modo definitivo e preoccupante. L’Italia, sempre più isolata, anche a causa del governo postfascista, guarda a possibili alleanze mediterranee, mentre la Germania oscilla riluttante e divisa. E malgrado tutto i panzer tedeschi saranno simbolicamente inviati al fronte orientale. Difficile immaginare uno scenario peggiore: il “fato dell’Europa” che si compie nel tradimento e nell’autodistruzione.
(Il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2023)