di Silvia Pinelli
Sono passati cinquantacinque anni dalla strage di piazza Fontana e questo anniversario sarà il primo che vivremo senza Licia. Lei, peraltro, le ricorrenze le ha sempre vissute male: pensava che fare della memoria una commemorazione non avesse senso, perché ricordare non è mettere una corona di fiori su una lapide ma uno sforzo costante. La sua storia, del resto, è lì a testimoniarlo. Quando alla fine della guerra Licia venne mandata nella Roma liberata dagli Alleati, decise di iscriversi al Pci.
Tornata a Milano, però, una volta il partito le chiese di andare in giro a vendere mimose. Lei disse di no perché riteneva la cosa poco dignitosa, le fu dato della reazionaria e così decise di stracciare la tessera. Era un fatto di coerenza, e il punto lo avrebbe tenuto per tutto il resto della sua vita, anche rifiutando le tante offerte di candidatura che sarebbero arrivate in seguito.
Noi figlie viviamo questo anniversario in maniera più dolorosa del solito, ma non possiamo che portare avanti le battaglie di Pino e Licia. Nostra madre ci ha dato la possibilità di scegliere cosa fare, e noi scegliamo di continuare a ricordare. Non è scontato né facile. Solo due anni fa siamo state costrette a denunciare un ex questore che era andato in televisione a raccontare vecchie menzogne su Pino e su quello che gli è accaduto.
Significa che non c’è niente di acquisito e che bisogna lottare ogni giorno: la memoria è una scelta che va fatta quotidianamente, perché non c’è niente di acquisito e la riscrittura della storia rientra all’interno di una strategia precisa. Non è un caso che molti diritti che davamo per certi adesso li stiamo via via perdendo. Nel 1969 si discuteva per esempio di disarmare le forze di polizia e il dibattito era arrivato a una fase molto avanzata, mentre oggi non si riesce nemmeno a introdurre un elemento di civiltà come quello dei numeri identificativi sulle divise di chi dovrebbe mantenere l’ordine nelle piazze. E tante battaglie che sono state vinte sul fronte della sanità pubblica, della scuola pubblica, delle tutele dei lavoratori e dei diritti di tutti adesso sono tornate in discussione.
Anche qui ritorna un po’ il senso di quella strage e di quella che chiamiamo “strategia della tensione”: fermare un forte movimento sociale e culturale che stava ottenendo consenso e vittorie. Viviamo in un paese in cui la verità è sempre a metà, però: sappiamo dalle sentenze che la manovalanza delle stragi fu di stampo fascista, ma, almeno a livello giudiziario, tante complicità non sono mai venute fuori.
Da qui il nostro impegno per la memoria: come facevano i partigiani, continueremo a incontrare i ragazzi e le ragazze per raccontare loro la nostra parte della storia. In queste circostanze conosciamo tanti giovani che, tra tante difficoltà, lottano per delle istanze sociali e collettive, senza personalismi, con coraggio e impegno. A volte ci chiedono cosa si può fare. La risposta è che bisogna sempre andare avanti a chiedere libertà e giustizia, continuando a coltivare una speranza che serve a tutti quanti.
(il manifesto, 12 dicembre 2024)