di Zita Dazzi
Intervista a Manuela Ulivi, avvocata, presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano e consigliera nazionale D.i.Re. (Donne in rete contro la violenza)
Perché c’è un aumento così rilevante delle minorenni fra le persone offese?
«Penso che finalmente nell’elaborazione dei dati abbiano prestato attenzione anche alla “violenza assistita” considerando i figli minori della donna maltrattata in famiglia sempre persone offese. L’abbiamo chiesto nelle interlocuzioni con la Procura».
Quindi non c’è un aumento delle ragazze che restano vittime di aggressioni e violenze?
«Certo che c’è. A Milano, fra le 4-5 mila denunce annue per maltrattamento, violenza sessuale e stalking, c’è sicuramente un dato importante e in crescita che riguarda le giovanissime. Ma ci sono ancora troppe archiviazioni. E il numero delle denunce va confrontato con quello delle sentenze. Facciamo una manifestazione proprio sabato su questo tema: le ragazze sono il bersaglio nelle relazioni tossiche di cui abbiamo tutti la responsabilità».
Cioè?
«Sono relazioni di dominio, che nascono anche dal fatto che li chiamiamo “fidanzatini”. È uno sbaglio considerare le prime storie d’amore già come legami fortissimi, perché questo lascia spazio alla volontà di dominio, di controllo. Queste relazioni da giovani possono ingabbiare».
Gli adulti sbagliano se danno importanza alle prime storie d’amore dei figli?
«Non parlo solo dei genitori, ma più in generale della società, dei mass media anche, che anche nel modo di dare le notizie sono indirizzati verso l’amore “per sempre”, un amore assoluto, protettivo, che però così può diventare relazione di possesso, invece che relazione libera e felice, da cui un giorno si può anche uscire».
Quindi la cultura del “per sempre” sui giovani è pericolosa?
«Lo è quando viene intesa come un “sei mia”. Da lì nasce il senso di possesso che può fare danni gravi».
E le violenze dopo le feste, dopo l’alcol, il sesso preso come gioco che sfugge di mano?
«Sì, tutto quello esiste ed è vero, ma non dobbiamo cavarcela col dire che è tutta colpa dei social, che c’è in giro tanto nervosismo. Bisogna smettere di girare la testa dall’altra parte. C’è bisogno che gli uomini si esprimano e non dicano soltanto “io non sono un violento”».
Molti se la cavano dicendo “lei ci stava”.
«Il consenso deve esserci all’inizio. E non è che se una accetta di andare a casa di qualcuno allora “ci sta”».
(la Repubblica, 5 novembre 2024)