di Franca Fortunato
Ci sono voluti sette anni e mezzo perché Carolina Girasole, ex sindaca di Isola Capo Rizzuto, potesse vedere conclusa una vicenda che, a ben guardare, ha dell’incredibile. La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione in primo e secondo grado «per non aver commesso il fatto e perché il fatto non sussiste». Era stata accusata di essere stata eletta con i voti della famiglia mafiosa degli Arena e di averli favoriti nella raccolta di un campo di finocchi su un terreno a loro confiscato e da lei dato in gestione a una cooperativa di Libera. Conosco lo stordimento iniziale, lo stupore, l’incredulità, lo shock di fronte ad accuse infamanti che tradiscono tutto ciò in cui hai creduto e per cui hai lottato. Non hai parole per dire e gridare la tua rabbia di fronte all’immagine che di te danno i tuoi accusatori e i giornali, il dolore ti strazia e apre nel profondo del tuo essere una ferita che resta aperta anche dopo aver ottenuto giustizia, come per Carolina che ancora oggi si chiede come è potuto accadere. Quel 3 dicembre del 2013, quando venne arrestata e messa ai domiciliari, per giorni è rimasta in silenzio e io nello sconcerto e nell’incredulità, ma non ho mai dubitato di lei, non ho mai perso la fiducia, non nella giustizia, ma nella donna in cui avevo riconosciuto il sincero desiderio di cambiare questa terra, segnandola della forza e della grandezza femminile. Nel corso degli anni l’ho invitata, a parlare di sé e di quanto stava vivendo, in incontri pubblici anche se c’è stato qualcuno che mi consigliava di non farlo perché era sotto processo per mafia e si è rifiutato di venire per questo. Ho continuato a credere a lei e in lei, alle sue parole e non ho mai perso la fiducia in una donna che insieme ad altre ha scritto una delle pagine più belle di questa regione, pagine di buona politica, di passione politica, di coraggio, libertà e autorità femminile. Le “sindache anti ’ndrangheta” in modo riduttivo le avevano chiamate giornali, tv, scrittori e giornalisti scesi in Calabria per conoscerle e scrivere di loro. Carolina Girasole, Elisabetta Tripodi, ex sindaca di Rosarno, Annamaria Cardamone ex di Decollatura, Maria Carmela Lanzetta ex di Monasterace, si sono date forza l’una con l’altra, autorizzandosi nelle loro pratiche quotidiane e nelle scelte “impreviste” e “imprevedibili” per chi – come i mafiosi e i malapolitici – era abituato a ben altra politica e a ben altra pratica amministrativa.
Una stagione politica, la loro, che molti hanno archiviato troppo in fretta e hanno parlato di fallimento. No, non hanno fallito perché, al di là di come è andata a ognuna di loro, resta la speranza che anche in Calabria sia possibile amministrare credendo nella forza del proprio desiderio di rendere “normale” il proprio paese e che un’altra politica sia possibile, perché loro l’hanno praticata, nonostante o per questo siano state avversate, ostacolate, misconosciute anche dal loro stesso partito. La speranza non è una promessa, ma un orientamento, un sentimento che quando c’è va trattato con cura per non ucciderlo e loro sono stati capaci di trasformare la speranza del cambiamento in realtà segnandola del desiderio femminile e pagando prezzi altissimi come per alcune di loro vivere sotto scorta. Con la fine dell’incubo, Carolina viene rimessa al posto che le spetta, quello di un’ex sindaca, di una buona ex sindaca, di una donna che, forte della sua verità e del sostegno di chi ha sempre creduto in lei, ha saputo affrontare il processo con la stessa passione, forza, coraggio e dignità con cui ha amministrato il suo paese.
Grazie Carolina.
(Il Quotidiano del Sud, 7 maggio 2021)